Quarta Radio - Podcast e Audiolibri
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Podcast e audiolibri messi in voce, tra novelle, racconti, romanzi, teatro e poesia; dalla letteratura classica, moderna e contemporanea. Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Grazia Deledda, Deledda, Nicolaj Gogol, Giacomo Leopardi, Omero, Platone, Edgar Allan Poe, Joseph Roth, Franz Kafka, e tantissimi altri autori. Storie da ascoltare liberamente e scaricare gratuitamente. Quarta Radio vive solo grazie al tuo libero sostegno.
Autore: Quarta Radio
Ultimo episodio: 06/12/22 0:25
Aggiornamento: 04/11/23 6:43 (Aggiorna adesso)
Il Natale del consigliere. Un racconto di Grazia Deledda
Nell'aria limpida e fredda vibravano i rumori del porto e della città ancora violacea al riflesso dell'occidente; s'udiva una fisarmonica, come nelle belle sere d'autunno, la luna saliva grande e rossa sopra la torre nera del molo e già l'acqua intorno ne rifletteva lo splendore. Il viaggiatore guardava la terra e il mare, e il suo viso pallido e un po' cascante e i suoi occhi azzurrognoli e freddi, a fior di pelle, non esprimevano né ammirazione né tristezza; solo le labbra grigiastre avevano di tanto in tanto come un segno di disgusto.
Nell'aria limpida e fredda vibravano i rumori del porto e della città ancora violacea al riflesso dell'occidente; s'udiva una fisarmonica, come nelle belle sere d'autunno, la luna saliva grande e rossa sopra la torre nera del molo e già l'acqua intorno ne rifletteva lo splendore. Il viaggiatore guardava la terra e il mare, e il suo viso pallido e un po' cascante e i suoi occhi azzurrognoli e freddi, a fior di pelle, non esprimevano né ammirazione né tristezza; solo le labbra grigiastre avevano di tanto in tanto come un segno di disgusto.
Il dono di Natale. Un racconto di Grazia Deledda
I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia. Era una festa eccezionale, per loro, quell'anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco. Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva mandare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei. E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un gruppo di guerrieri.
I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia. Era una festa eccezionale, per loro, quell'anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco. Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva mandare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei. E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un gruppo di guerrieri.
Il vecchio Moisè e quella notte di Natale. Un racconto di Grazia Deledda
Quand'ero ragazzetta, avevamo in casa nostra un vecchio servo della Barbagia chiamato Moisè. Era il suo vero nome? Non credo; forse era un soprannome, perché realmente il vecchio rassomigliava al profeta Mosè, alto e bruno in viso com'era e con una lunga barba a riccioli; o piuttosto perché fra le altre cose egli sapeva fare certi scongiuri contro il malocchio, contro le malattie del bestiame, contro le formiche che rapiscono il grano dall'aia, contro i bruchi, le cavallette e i vermi, contro le aquile per impedir loro di rapire i porcellini, gli agnelli ed anche i bambini;
Quand'ero ragazzetta, avevamo in casa nostra un vecchio servo della Barbagia chiamato Moisè. Era il suo vero nome? Non credo; forse era un soprannome, perché realmente il vecchio rassomigliava al profeta Mosè, alto e bruno in viso com'era e con una lunga barba a riccioli; o piuttosto perché fra le altre cose egli sapeva fare certi scongiuri contro il malocchio, contro le malattie del bestiame, contro le formiche che rapiscono il grano dall'aia, contro i bruchi, le cavallette e i vermi, contro le aquile per impedir loro di rapire i porcellini, gli agnelli ed anche i bambini;
La signorina Aida e altri racconti di Marcella Onnis
La signorina Aida e altri racconti di Marcella Onnis
Messa in voce di Gaetano Marino
I racconti:
La signorina Aida - Diversamente mogli - Odore di pioggia - Rosa batteva - Il relitto - Cerchionirico - Asimetrie relazionali - Alla fermata del 15
La signorina Aida e altri racconti di Marcella Onnis
Messa in voce di Gaetano Marino
I racconti:
La signorina Aida - Diversamente mogli - Odore di pioggia - Rosa batteva - Il relitto - Cerchionirico - Asimetrie relazionali - Alla fermata del 15
Zia Jacobba. Una novella di Grazia Deledda
Ella era una povera donna, misteriosa e bizzarra, sulla cinquantina. Come quasi tutte le povere donne della Baronia, soffriva le febbri miasmatiche, tanto più che passava le giornate nelle paludi, tra le verdi acque stagnanti, pescando sanguisughe. Pescando per modo di dire; perché tuffava le gambe nell'acqua malefica, aspettando che le sanguisughe vi si attaccassero ferocemente. Ella poi si curvava, staccava dalle sue povere carni lo schifoso animaletto e lo introduceva a viva forza entro un'ampolla verdognola, a metà colma d'acqua. [...]
Ella era una povera donna, misteriosa e bizzarra, sulla cinquantina. Come quasi tutte le povere donne della Baronia, soffriva le febbri miasmatiche, tanto più che passava le giornate nelle paludi, tra le verdi acque stagnanti, pescando sanguisughe. Pescando per modo di dire; perché tuffava le gambe nell'acqua malefica, aspettando che le sanguisughe vi si attaccassero ferocemente. Ella poi si curvava, staccava dalle sue povere carni lo schifoso animaletto e lo introduceva a viva forza entro un'ampolla verdognola, a metà colma d'acqua. [...]
Rosso Malpelo. Una novella di Giovanni Verga
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo. Del resto, lei lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c'era anche da temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni. [...]
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo. Del resto, lei lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c'era anche da temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni. [...]
La roba. Una novella di Giovanni Verga
[...] Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll'affaticarsi dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch'era tutto quello ch'ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba. [...]
[...] Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll'affaticarsi dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch'era tutto quello ch'ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba. [...]
La lupa. Una novella di Giovanni Verga
Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna - e pure non era più giovane - era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai - di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d'occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all'altare di Santa Agrippina. [...]
Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna - e pure non era più giovane - era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai - di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d'occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all'altare di Santa Agrippina. [...]
Libertà. Una novella di Giovanni Verga
Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! - Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola. [...]
Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! - Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola. [...]
Il vecchio servo. Un racconto di Grazia Deledda
- Basile, ti deruberanno. - No, babbo Ara, non mi deruberanno; babbo grande caro, mandatemi - supplicava il piccolo Basilio, accarezzando il nonno. - Va bene, ma non tirarmi la barba: tu sai che la barba si tira solo ai caproni. Io ti manderò, ma senti, Basilio, tu sai che mamma Ara è avara come il pugno d'un morto. Se ti derubano, mamma Ara mi sgriderà, ed io ti bastonerò come un cane. [...]
- Basile, ti deruberanno. - No, babbo Ara, non mi deruberanno; babbo grande caro, mandatemi - supplicava il piccolo Basilio, accarezzando il nonno. - Va bene, ma non tirarmi la barba: tu sai che la barba si tira solo ai caproni. Io ti manderò, ma senti, Basilio, tu sai che mamma Ara è avara come il pugno d'un morto. Se ti derubano, mamma Ara mi sgriderà, ed io ti bastonerò come un cane. [...]
La regina delle tenebre. Un racconto di Grazia Deledda
A venticinque anni, bella, ricca, fidanzata, senza aver mai provato un dolore veramente grande, un giorno Maria Magda si sentì improvvisamente il cuore nero e vuoto. Fu come il principio d'un malore fisico, che andò di giorno in giorno aumentando, allargandosi, spandendosi. Ella era felice in casa sua, e un'altra felicità l'aspettava. Ma per raggiungere la nuova felicità, doveva abbandonare l'antica, e le sembrava che allora il rimpianto della famiglia lontana, della dolce casa paterna, della libertà perduta, della patria abbandonata, le avrebbero dato una indicibile nostalgia, avvelenandole la nuova felicità. [...]
A venticinque anni, bella, ricca, fidanzata, senza aver mai provato un dolore veramente grande, un giorno Maria Magda si sentì improvvisamente il cuore nero e vuoto. Fu come il principio d'un malore fisico, che andò di giorno in giorno aumentando, allargandosi, spandendosi. Ella era felice in casa sua, e un'altra felicità l'aspettava. Ma per raggiungere la nuova felicità, doveva abbandonare l'antica, e le sembrava che allora il rimpianto della famiglia lontana, della dolce casa paterna, della libertà perduta, della patria abbandonata, le avrebbero dato una indicibile nostalgia, avvelenandole la nuova felicità. [...]
Il mago. Una novella di Grazia Deledda
[...] però una leggera nuvola era apparsa dopo due anni di completa felicità sul cielo sereno della sua esistenza. Saveria non lo aveva reso né ancora accennava a renderlo padre! Era una cosa ben triste! Egli l'aveva tanto sognato un bel marmocchio bruno come lui che appena in gambe l'avrebbe seguito su e giù, fra i boschi e le valli, aiutandolo nelle dure fatiche di pastore; un marmocchio che poi, fatto forte giovanotto, la gioia e la speranza dei suoi vecchi, ammogliandosi avrebbe a sua volta tramandato il loro nome e la discendenza dei loro armenti in un altro, [...]
[...] però una leggera nuvola era apparsa dopo due anni di completa felicità sul cielo sereno della sua esistenza. Saveria non lo aveva reso né ancora accennava a renderlo padre! Era una cosa ben triste! Egli l'aveva tanto sognato un bel marmocchio bruno come lui che appena in gambe l'avrebbe seguito su e giù, fra i boschi e le valli, aiutandolo nelle dure fatiche di pastore; un marmocchio che poi, fatto forte giovanotto, la gioia e la speranza dei suoi vecchi, ammogliandosi avrebbe a sua volta tramandato il loro nome e la discendenza dei loro armenti in un altro, [...]
Il sicario. Una novella di Grazia Deledda
Nessuno, fra quelli che sapevano del suo terribile mestiere, e più o meno si erano serviti o contavano di servirsi di lui, lo chiamava con questo nome; anzi tutti lo consideravano, almeno superficialmente, come un giustiziere; perché in realtà egli non si prestava alle richieste esecuzioni se non in casi eccezionali, quando cioè si trattava di una giusta vendetta o di levar di mezzo un individuo nocivo alla pace di un uomo o di una famiglia. [...]
Nessuno, fra quelli che sapevano del suo terribile mestiere, e più o meno si erano serviti o contavano di servirsi di lui, lo chiamava con questo nome; anzi tutti lo consideravano, almeno superficialmente, come un giustiziere; perché in realtà egli non si prestava alle richieste esecuzioni se non in casi eccezionali, quando cioè si trattava di una giusta vendetta o di levar di mezzo un individuo nocivo alla pace di un uomo o di una famiglia. [...]
Guerra di Santi. Una novella di Giovanni Verga
Tutt'a un tratto, mentre San Rocco se ne andava tranquillamente per la sua strada, sotto il baldacchino, coi cani al guinzaglio, un gran numero di ceri accesi tutt'intorno, e la banda, la processione, la calca dei devoti, accadde una parapiglia, un fuggi fuggi, un casa del diavolo: preti che scappavano colle sottane per aria, trombe e clarinetti sulla faccia, donne che strillavano, il sangue a rigagnoli, e le legnate che piovevano come pere fradicie fin sotto il naso di San Rocco benedetto. [...]
Tutt'a un tratto, mentre San Rocco se ne andava tranquillamente per la sua strada, sotto il baldacchino, coi cani al guinzaglio, un gran numero di ceri accesi tutt'intorno, e la banda, la processione, la calca dei devoti, accadde una parapiglia, un fuggi fuggi, un casa del diavolo: preti che scappavano colle sottane per aria, trombe e clarinetti sulla faccia, donne che strillavano, il sangue a rigagnoli, e le legnate che piovevano come pere fradicie fin sotto il naso di San Rocco benedetto. [...]
Memorie di scuola, ricordi di uno scolaro senza tempo. Di Ignazio Salvatore Basile – Scuole Elementari
Premessa
Alzi la mano chi non ricorda con gioia un suo ultimo giorno di scuola!!! Magari soltanto uno particolare. Come studente io ne ricordo diversi. Tutti sono ammantati da un velo di malinconia. In fondo a scuola ci stavo bene. I maestri (ma un anno ho avuto anche una maestra, in quarta elementare, si chiamava maestra Soro) mi volevano bene.
I miei ricordi di scuola piu? lontani son legati a cinque colori. [...]
Premessa
Alzi la mano chi non ricorda con gioia un suo ultimo giorno di scuola!!! Magari soltanto uno particolare. Come studente io ne ricordo diversi. Tutti sono ammantati da un velo di malinconia. In fondo a scuola ci stavo bene. I maestri (ma un anno ho avuto anche una maestra, in quarta elementare, si chiamava maestra Soro) mi volevano bene.
I miei ricordi di scuola piu? lontani son legati a cinque colori. [...]
Il cinghialetto. Un racconto di Grazia Deledda
[…]Appena aperti gli occhi alla luce del giorno, il cinghialetto vide i tre più bei colori del mondo: il verde, il bianco, il rosso, sullo sfondo azzurro del cielo, del mare e dei monti lontani. In mezzo al verde delle querce le cime dei monti vicini apparivano candide come nuvole alla luna, ma già intorno al nido del cinghialetto rosseggiava il musco fiorito, e i macigni, le chine, gli anfratti rocciosi ne eran coperti come se tutti i pastori e i banditi passati lassù avessero lasciato stesi i loro giubboni di scarlatto e anche qualche traccia del loro sangue. Come non essere arditi e prepotenti in un simile luogo?[…]
[…]Appena aperti gli occhi alla luce del giorno, il cinghialetto vide i tre più bei colori del mondo: il verde, il bianco, il rosso, sullo sfondo azzurro del cielo, del mare e dei monti lontani. In mezzo al verde delle querce le cime dei monti vicini apparivano candide come nuvole alla luna, ma già intorno al nido del cinghialetto rosseggiava il musco fiorito, e i macigni, le chine, gli anfratti rocciosi ne eran coperti come se tutti i pastori e i banditi passati lassù avessero lasciato stesi i loro giubboni di scarlatto e anche qualche traccia del loro sangue. Come non essere arditi e prepotenti in un simile luogo?[…]
Processo ad Antigone. Dalla tragedia di Sofocle.
Antigone, Figlia di Edipo e Giocasta, ha due fratelli, Eteocle e Polinice. Edipo è morto e i due fratelli si accordano per dividersi a turno il trono, ma Eteocle non rispetta i patti. Polinice, fugge in esilio e muove guerra alla sua città. Nel duello finale Eteocle e Polinice muoiono per mano reciproca. Il potere è assunto da Creonte, fratello di Giocasta. E qui comincia l'opera di Sofocle.
Creonte considera Polinice un traditore e ordina, nel pieno rispetto delle leggi dello stato, che il suo cadavere rimanga insepolto. Ma Antigone, appellandosi alla legge degli dei, che impongono pietà e la sepoltura dei parenti defunti, disobbedisce. Esce dalle mura, si avvicina al cadavere del fratello Polinice e lo cosparge con un pugno di terra dandogli simbolicamente sepoltura. La ragazza viene arrestata e portata alla presenza del re, dinanzi al quale rivendica la legittimità sacra del suo gesto. Creonte, adirato, ordina che Antigone sia sepolta viva in una grotta fuori città.
Antigone, Figlia di Edipo e Giocasta, ha due fratelli, Eteocle e Polinice. Edipo è morto e i due fratelli si accordano per dividersi a turno il trono, ma Eteocle non rispetta i patti. Polinice, fugge in esilio e muove guerra alla sua città. Nel duello finale Eteocle e Polinice muoiono per mano reciproca. Il potere è assunto da Creonte, fratello di Giocasta. E qui comincia l'opera di Sofocle.
Creonte considera Polinice un traditore e ordina, nel pieno rispetto delle leggi dello stato, che il suo cadavere rimanga insepolto. Ma Antigone, appellandosi alla legge degli dei, che impongono pietà e la sepoltura dei parenti defunti, disobbedisce. Esce dalle mura, si avvicina al cadavere del fratello Polinice e lo cosparge con un pugno di terra dandogli simbolicamente sepoltura. La ragazza viene arrestata e portata alla presenza del re, dinanzi al quale rivendica la legittimità sacra del suo gesto. Creonte, adirato, ordina che Antigone sia sepolta viva in una grotta fuori città.
Povera Sara Povera Nera, da una storia vera delle Memorie di un Pulcino di Latta. Di Gaetano Marino
Era il 1993. Un’amica, reduce da un viaggio di lavoro all’estero, mi raccontò una storia vera di ordinaria follia. Una vicenda vissuta come spettatrice proprio nei giorni di soggiorno in una città d’Europa. L’amica si occupava di un progetto civile d’accoglienza riservato agli stranieri immigrati; soprattutto giovani donne, spesso fanciulle coinvolte nella tratta della prostituzione.
Era il 1993. Un’amica, reduce da un viaggio di lavoro all’estero, mi raccontò una storia vera di ordinaria follia. Una vicenda vissuta come spettatrice proprio nei giorni di soggiorno in una città d’Europa. L’amica si occupava di un progetto civile d’accoglienza riservato agli stranieri immigrati; soprattutto giovani donne, spesso fanciulle coinvolte nella tratta della prostituzione.
Problems. Schiavi e non schiavi. Liberi e non. Di Cesare Giombetti.
Schiavi e non schiavi: il viaggio in un mondo nuovo, fatto di miserie più o meno estreme, ha inizio. Anna, intrappolata in una città dove tutto è povero, lotta per la sopravvivenza. Gli schiavi nel deserto invece neanche lottano più e si trascinano.
Liberi e non: le dinamiche fra schiavi sono sempre le stesse. Mors tua vita mea, oppure solidarietà. Dipende dai momenti, dalle persone, dalla fame. Scopriamo invece che nella città di Anna circola una droga.
Schiavi e non schiavi: il viaggio in un mondo nuovo, fatto di miserie più o meno estreme, ha inizio. Anna, intrappolata in una città dove tutto è povero, lotta per la sopravvivenza. Gli schiavi nel deserto invece neanche lottano più e si trascinano.
Liberi e non: le dinamiche fra schiavi sono sempre le stesse. Mors tua vita mea, oppure solidarietà. Dipende dai momenti, dalle persone, dalla fame. Scopriamo invece che nella città di Anna circola una droga.
Un’altra inondazione. Una novella di Giovanni Verga
Mi rammento, nell'ultima eruzione dell'Etna, di avere assistito ad uno di quei semplici episodi che vi colpiscono più profondamente della catastrofe istessa. Era lo spettacolo di un casolare, in fondo alla valle, che la lava stava per seppellire. Davanti al casolare, c'era un cortiletto, cinto da un muricciuolo, il quale aveva arrestato per poco la corrente, e le scorie gli si ammonticchiavano addosso adagio adagio; sembrava si gonfiassero, come un rettile immane irritato, e scoppiavano in larghi crepacci infuocati. [...]
Mi rammento, nell'ultima eruzione dell'Etna, di avere assistito ad uno di quei semplici episodi che vi colpiscono più profondamente della catastrofe istessa. Era lo spettacolo di un casolare, in fondo alla valle, che la lava stava per seppellire. Davanti al casolare, c'era un cortiletto, cinto da un muricciuolo, il quale aveva arrestato per poco la corrente, e le scorie gli si ammonticchiavano addosso adagio adagio; sembrava si gonfiassero, come un rettile immane irritato, e scoppiavano in larghi crepacci infuocati. [...]
Il Ciclope innamorato, di Teocrito – Quando la donna è una dea.
Mio Nicia, per l’amore mai fu scoperto un farmaco, né polvere, né unguento... se non, credo, le Pièridi.
Rimedio dolce, lieve: si trova tra gli umani, ma averlo, non è facile.
Tu lo conosci, certo, che sei un esperto medico, e t’amano oltretutto le Muse, tutte e nove.
Così pure il Ciclope, il nostro conterraneo, l’antico Polifemo, si addolciva la vita, quando – la prima barba sulle gote e sul mento appena gli fioriva – amava Galatea.
E non era un amore da pomi, o rose, o riccioli, ma una vera follia, e tutto quanto il resto considerava inutile.
Dalla fresca pastura, al chiuso, sole spesso tornavano le agnelle, mentre lui, sulla spiaggia tutta coperta d’alghe se ne stava, cantandola, celando sotto il cuore un’odiosa ferita, la freccia che Afrodite gli confisse nel fegato.
Il farmaco trovò. Seduto sulla roccia, guardando verso il mare, tali cose cantava: [...]
Mio Nicia, per l’amore mai fu scoperto un farmaco, né polvere, né unguento... se non, credo, le Pièridi.
Rimedio dolce, lieve: si trova tra gli umani, ma averlo, non è facile.
Tu lo conosci, certo, che sei un esperto medico, e t’amano oltretutto le Muse, tutte e nove.
Così pure il Ciclope, il nostro conterraneo, l’antico Polifemo, si addolciva la vita, quando – la prima barba sulle gote e sul mento appena gli fioriva – amava Galatea.
E non era un amore da pomi, o rose, o riccioli, ma una vera follia, e tutto quanto il resto considerava inutile.
Dalla fresca pastura, al chiuso, sole spesso tornavano le agnelle, mentre lui, sulla spiaggia tutta coperta d’alghe se ne stava, cantandola, celando sotto il cuore un’odiosa ferita, la freccia che Afrodite gli confisse nel fegato.
Il farmaco trovò. Seduto sulla roccia, guardando verso il mare, tali cose cantava: [...]
Achille vs Ettore, il duello. Libro 22°. Iliade, Omero. Mitologia
Achille vs Ettore, il duello. Libro 22°. Iliade, Omero. Mitologia
Achille vs Ettore, il duello. Libro 22°. Iliade, Omero. Mitologia
L’inganno di Afrodite-Heros, dalle Argonatiche di Apollonio Rodio – Quando la donna è una dea.
Un tacito stupore a lei pervase l’animo. Dall’altissima sala quello uscì, sghignazzando, corse via, mentre il dardo conficcato nel cuore della fanciulla ardeva, simile ad una fiamma. Balenava lo sguardo, rivolto sempre a Giàsone, dal petto, per l’affanno, le fuggivano i sensi e la ragione. Immemore di ogni altro pensiero, nel dolore dolcissimo si struggeva nell’animo.
Un tacito stupore a lei pervase l’animo. Dall’altissima sala quello uscì, sghignazzando, corse via, mentre il dardo conficcato nel cuore della fanciulla ardeva, simile ad una fiamma. Balenava lo sguardo, rivolto sempre a Giàsone, dal petto, per l’affanno, le fuggivano i sensi e la ragione. Immemore di ogni altro pensiero, nel dolore dolcissimo si struggeva nell’animo.
L’inganno di Era, Iliade – Omero – Quando la donna è una dea.
[...] La dea dagli occhi grandi, la veneranda Era s’interrogava allora: come avrebbe potuto stornar dalla battaglia l’attenzione di Zeus? Questa a lei parve infine la miglior decisione: raggiungerlo sull’Ida, tutta bene abbigliata, per vedere se mai lo invogliasse a giacere al suo fianco in amore; e a lui un sonno tranquillo, mite, si riversasse nel saldo petto e gli occhi. [...]
[...] La dea dagli occhi grandi, la veneranda Era s’interrogava allora: come avrebbe potuto stornar dalla battaglia l’attenzione di Zeus? Questa a lei parve infine la miglior decisione: raggiungerlo sull’Ida, tutta bene abbigliata, per vedere se mai lo invogliasse a giacere al suo fianco in amore; e a lui un sonno tranquillo, mite, si riversasse nel saldo petto e gli occhi. [...]
Lasciare o prendere? Un racconto di Grazia Deledda
Da cinque anni don Giuseppe Demuros insegnava a Dorgoro. Il paesetto era triste, umido; un vero buco di viventi sprofondato in una valle tetra rocciosa. La giovinezza del povero maestro che un giorno aveva sognato di riformare il mondo se ne andava così, come una malattia di languore, lenta, monotona, inesorabile. Quando i suoi quaranta scolaretti sporchi, giallognoli e camusi come piccoli trogloditi scesi giù dalle grotte di Monte Gudula intonavano l'inno dei lavoratori con una cadenza religiosa, egli sentiva voglia di piangere e di frustarli. [...]
Da cinque anni don Giuseppe Demuros insegnava a Dorgoro. Il paesetto era triste, umido; un vero buco di viventi sprofondato in una valle tetra rocciosa. La giovinezza del povero maestro che un giorno aveva sognato di riformare il mondo se ne andava così, come una malattia di languore, lenta, monotona, inesorabile. Quando i suoi quaranta scolaretti sporchi, giallognoli e camusi come piccoli trogloditi scesi giù dalle grotte di Monte Gudula intonavano l'inno dei lavoratori con una cadenza religiosa, egli sentiva voglia di piangere e di frustarli. [...]
La croce d’oro. Un racconto di Grazia Deledda
Eravamo quasi alla vigilia di Natale, ed io che dovevo scrivere una novella d'occasione per un giornale straniero ancora non avevo trovato l'argomento. Allora pensai di andare a raccogliere qualche leggenda. (Vivevo ancora nell'Isola). Conoscevo un vecchietto che ne sapeva tante: era un mezzadro d'un nostro piccolo podere nella valle: d'estate e d'autunno veniva su, curvo sul suo bastone, con la bisaccia colma sulle spalle e sul petto, e la barba che gli andava dentro la bisaccia. [...]
Eravamo quasi alla vigilia di Natale, ed io che dovevo scrivere una novella d'occasione per un giornale straniero ancora non avevo trovato l'argomento. Allora pensai di andare a raccogliere qualche leggenda. (Vivevo ancora nell'Isola). Conoscevo un vecchietto che ne sapeva tante: era un mezzadro d'un nostro piccolo podere nella valle: d'estate e d'autunno veniva su, curvo sul suo bastone, con la bisaccia colma sulle spalle e sul petto, e la barba che gli andava dentro la bisaccia. [...]
Mentre soffia il levante. Un racconto di Grazia Deledda
Un'antica leggenda sarda afferma che il corpo degli uomini nati nella vigilia di Natale non si dissolvera? mai fino alla fine dei secoli. Si parlava appunto di cio? in casa di zio Diddinu Frau, ricco contadino, e Predu Tasca, il fidanzato della figliuola di zio Diddinu, domandava: - Ed a che serve cio?? Che possiamo farcene del corpo, dopo che siamo morti? - Ebbene, - rispose il contadino, - non e? una grazia divina non essere ridotti in cenere? E quando arrivera? il giudizio universale, non sara? una cosa bellissima ritrovare intatto il proprio corpo? [...]
Un'antica leggenda sarda afferma che il corpo degli uomini nati nella vigilia di Natale non si dissolvera? mai fino alla fine dei secoli. Si parlava appunto di cio? in casa di zio Diddinu Frau, ricco contadino, e Predu Tasca, il fidanzato della figliuola di zio Diddinu, domandava: - Ed a che serve cio?? Che possiamo farcene del corpo, dopo che siamo morti? - Ebbene, - rispose il contadino, - non e? una grazia divina non essere ridotti in cenere? E quando arrivera? il giudizio universale, non sara? una cosa bellissima ritrovare intatto il proprio corpo? [...]
Il padrone. Una novella di Grazia Deledda
Appena cominciava il freddo, verso gli ultimi di novembre, gli uomini più poveri del villaggio, quelli che non erano neppure servi, che non avevano grano da seminare, che non avevano neppure fuoco, si riunivano nella stanzetta d'ingresso della casupola ove Maria Franchisca faceva e vendeva a mitissimo prezzo un pane scuro mescolato di farina d'orzo e di frumento; e appoggiati al muro seduti per terra, dopo aver comprato e mangiato un pane, s'indugiavano fino a sera e neppure allora si decidevano ad andarsene. [...]
Appena cominciava il freddo, verso gli ultimi di novembre, gli uomini più poveri del villaggio, quelli che non erano neppure servi, che non avevano grano da seminare, che non avevano neppure fuoco, si riunivano nella stanzetta d'ingresso della casupola ove Maria Franchisca faceva e vendeva a mitissimo prezzo un pane scuro mescolato di farina d'orzo e di frumento; e appoggiati al muro seduti per terra, dopo aver comprato e mangiato un pane, s'indugiavano fino a sera e neppure allora si decidevano ad andarsene. [...]
Il sogno del pastore. Una novella di Grazia Deledda
È la notte di Natale, ma sembra una notte d'autunno, fresca e diafana. La luna illumina la pianura solitaria. Un corso d'acqua, qua largo, là stretto, serpeggia fra le stoppie nere, e sparisce luccicando all'orizzonte, ove pare che vada a gettarsi silenzioso in un mare di vapori azzurri, in un vuoto lontano. [...]
È la notte di Natale, ma sembra una notte d'autunno, fresca e diafana. La luna illumina la pianura solitaria. Un corso d'acqua, qua largo, là stretto, serpeggia fra le stoppie nere, e sparisce luccicando all'orizzonte, ove pare che vada a gettarsi silenzioso in un mare di vapori azzurri, in un vuoto lontano. [...]
Discesa dalle nuvole. Una novella di Grazia Deledda
Confesso francamente che io non avevo mai messo a cuocere un cappone. Gli altri anni… Ma lasciamo stare gli altri anni, sogno svanito. La realta? presente e? che io oggi, giorno di Natale, ho messo per la prima volta in vita mia a cuocere un cappone. La donna era andata alla messa, sebbene sia miscredente, e non tornava ne? viva ne? morta: e si capisce che oggi doveva andare alla messa, perche? il mercato si chiude alle nove, e lei di solito torna verso le dieci: Dio e? sempre buono a qualche cosa. [...]
Confesso francamente che io non avevo mai messo a cuocere un cappone. Gli altri anni… Ma lasciamo stare gli altri anni, sogno svanito. La realta? presente e? che io oggi, giorno di Natale, ho messo per la prima volta in vita mia a cuocere un cappone. La donna era andata alla messa, sebbene sia miscredente, e non tornava ne? viva ne? morta: e si capisce che oggi doveva andare alla messa, perche? il mercato si chiude alle nove, e lei di solito torna verso le dieci: Dio e? sempre buono a qualche cosa. [...]
Il sabato del villaggio e altri canti, di Giacomo Leopardi
Alcuni canti di Giacomo Leopardi messi in voce da Gaetano Marino.
Canti:
- Il sabato del villaggio
- A se stesso
- Il tramonto della luna
- Imitazione
- Scherzo
Alcuni canti di Giacomo Leopardi messi in voce da Gaetano Marino.
Canti:
- Il sabato del villaggio
- A se stesso
- Il tramonto della luna
- Imitazione
- Scherzo
Lo spirito della madre. Un racconto di Grazia Deledda
La mamma era morta di una malattia di cuore, della quale soffriva da anni: ma Lula credeva di averla uccisa lei, scappando di casa col figlio del padrone, che mai e poi mai l'avrebbe sposata. Per otto giorni i due ragazzi, lei quindici, lui diciassette anni, avevano trovato da nascondersi in modo che neppure la polizia, sguinzagliata sulle loro orme, era riuscita a pescarli: in quegli otto giorni la madre di Lula era morta e il padrone aveva lanciato una specie di bando, con ordine ai due colombi di tornare a casa per sposarsi.
La mamma era morta di una malattia di cuore, della quale soffriva da anni: ma Lula credeva di averla uccisa lei, scappando di casa col figlio del padrone, che mai e poi mai l'avrebbe sposata. Per otto giorni i due ragazzi, lei quindici, lui diciassette anni, avevano trovato da nascondersi in modo che neppure la polizia, sguinzagliata sulle loro orme, era riuscita a pescarli: in quegli otto giorni la madre di Lula era morta e il padrone aveva lanciato una specie di bando, con ordine ai due colombi di tornare a casa per sposarsi.
Il passero solitario e altri canti, di Giacomo Leopardi
Alcuni Canti di Giacomo Leopardi messi in voce da Gaetano Marino: - Il passero solitario. - L’infinito. - La sera del dì di festa. - Alla luna. - Alla sua donna
Alcuni Canti di Giacomo Leopardi messi in voce da Gaetano Marino: - Il passero solitario. - L’infinito. - La sera del dì di festa. - Alla luna. - Alla sua donna
A Silvia e altri canti, di Giacomo Leopardi
Alcuni canti di Giacomo Leopardi messi in voce da Gaetano Marino per Quartaradio.it
- A Silvia - Canto notturno di un pastore errante dell'Asia - La quiete dopo la tempesta
Alcuni canti di Giacomo Leopardi messi in voce da Gaetano Marino per Quartaradio.it
- A Silvia - Canto notturno di un pastore errante dell'Asia - La quiete dopo la tempesta
Olocausto. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Dino Campana. Fuori è la notte chiomata di muti canti.
Salivano voci e voci e canti di fanciulli e di lussuria per i ritorti vichi dentro dell’ombra ardente, al colle al colle. A l’ombra dei lampioni verdi le bianche colossali prostitute sognavano sogni vaghi nella luce bizzarra al vento. Il mare nel vento mesceva il suo sale che il vento mesceva e levava nell’odor lussurioso dei vichi, e la bianca notte mediterranea scherzava colle enormi forme delle femmine tra i tentativi bizzarri della fiamma di svellersi dal cavo dei lampioni. [...]
Salivano voci e voci e canti di fanciulli e di lussuria per i ritorti vichi dentro dell’ombra ardente, al colle al colle. A l’ombra dei lampioni verdi le bianche colossali prostitute sognavano sogni vaghi nella luce bizzarra al vento. Il mare nel vento mesceva il suo sale che il vento mesceva e levava nell’odor lussurioso dei vichi, e la bianca notte mediterranea scherzava colle enormi forme delle femmine tra i tentativi bizzarri della fiamma di svellersi dal cavo dei lampioni. [...]
Dino Campana. Crepuscolo Mediterraneo
Crepuscolo mediterraneo perpetuato di voci che nella sera si esaltano, di lampade che si accendono, chi t’inscenò nel cielo più vasta più ardente del sole, notturna estate mediterranea? Chi può dirsi felice, che non vide le tue piazze felici, i vichi dove ancora in alto, battaglia glorioso il lungo giorno, in fantasmi d’oro, nel mentre a l’ombra dei lampioni verdi, nell’arabesco di marmo, un mito si cova, che torce le braccia di marmo, verso i tuoi dorati fantasmi, notturna estate mediterranea? [...]
Crepuscolo mediterraneo perpetuato di voci che nella sera si esaltano, di lampade che si accendono, chi t’inscenò nel cielo più vasta più ardente del sole, notturna estate mediterranea? Chi può dirsi felice, che non vide le tue piazze felici, i vichi dove ancora in alto, battaglia glorioso il lungo giorno, in fantasmi d’oro, nel mentre a l’ombra dei lampioni verdi, nell’arabesco di marmo, un mito si cova, che torce le braccia di marmo, verso i tuoi dorati fantasmi, notturna estate mediterranea? [...]
X. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Il gioco del mondo. Di Giulio Angioni
"Questi ricordi, devo lasciarli perdere di nuovo, perché già troppi li hanno ricordati a modo loro? Qui vedo chiaro che la mia fanciullezza è più vicina ai tempi dei nuraghi che a tempi come questi. E mi ci sento le vertigini. Ma è grazie agli artifici del ricordo che si riesce a sopportare ogni passato, e forse a non avere eccessi di paura del futuro. Ma non sarà che rimane memoria solo di ciò che lo voleva diventare, ci aspirava da sé, per conto suo, a essere memoria?". Giulio Angioni
"Questi ricordi, devo lasciarli perdere di nuovo, perché già troppi li hanno ricordati a modo loro? Qui vedo chiaro che la mia fanciullezza è più vicina ai tempi dei nuraghi che a tempi come questi. E mi ci sento le vertigini. Ma è grazie agli artifici del ricordo che si riesce a sopportare ogni passato, e forse a non avere eccessi di paura del futuro. Ma non sarà che rimane memoria solo di ciò che lo voleva diventare, ci aspirava da sé, per conto suo, a essere memoria?". Giulio Angioni
Il tramonto di Venere. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
E la pioggia cadeva leggera e sottile. Tratto da Come spedire una scatola di sentimenti da Parigi ad Istanbul. Di Angela Targoni
[…]Il caffè a Istanbul si fa spazio, si crea spazio, nella vita delle persone, e quello spazio lo rende unico, speciale, proprio come Istanbul era riuscito a crearsi uno spazio nel cuore di Parigi. Quando stavano insieme, il tempo perdeva il suo significato, c’erano solo loro due, lui per lei, lei per lui, a condividere pezzi di sé.[…]
[…]Il caffè a Istanbul si fa spazio, si crea spazio, nella vita delle persone, e quello spazio lo rende unico, speciale, proprio come Istanbul era riuscito a crearsi uno spazio nel cuore di Parigi. Quando stavano insieme, il tempo perdeva il suo significato, c’erano solo loro due, lui per lei, lei per lui, a condividere pezzi di sé.[…]
Dino Campana. Amore, primavera del sogno
O il tuo corpo! il tuo profumo mi velava gli occhi: io non vedevo il tuo corpo (un dolce e acuto profumo): là nel grande specchio ignudo, nel grande specchio ignudo velato dai fumi di viola, in alto baciato di una stella di luce era il bello, il bello e dolce dono di un dio: e le timide mammelle erano gonfie di luce, e le stelle erano assenti, e non un Dio, era nella sera d’amore di viola: [...]
O il tuo corpo! il tuo profumo mi velava gli occhi: io non vedevo il tuo corpo (un dolce e acuto profumo): là nel grande specchio ignudo, nel grande specchio ignudo velato dai fumi di viola, in alto baciato di una stella di luce era il bello, il bello e dolce dono di un dio: e le timide mammelle erano gonfie di luce, e le stelle erano assenti, e non un Dio, era nella sera d’amore di viola: [...]
Attimi e poi via. Poesie sparse di Monica Conversano
[...] Alba / Un giorno ancora / Dietro gli occhi chiusi una pietra dura
Senti? / Si rispondono i galli e il vento / sviene l'ultima stella
Guarda! / Ora il mare si stacca dal cielo / Un giorno ancora / è qui se vuoi! [...]
[...] Alba / Un giorno ancora / Dietro gli occhi chiusi una pietra dura
Senti? / Si rispondono i galli e il vento / sviene l'ultima stella
Guarda! / Ora il mare si stacca dal cielo / Un giorno ancora / è qui se vuoi! [...]
Dino Campana. In un momento
In un momento
Sono sfiorite le rose I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P.S. E così dimenticammo le rose.
In un momento
Sono sfiorite le rose I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P.S. E così dimenticammo le rose.
Dino Campana. Qualche poesia.
Messa in voce di Gaetano Marino. Musiche tratte da Ghost Systems. Composed and performed by Simon Balestrazzi. Samples, field recordings, analogue and digital processing. AZHOT. 2016
le poesie:
Barche amorrate, La chimera, Giardino autunnale, La speranza, L’invetriata, Il canto della tenebra, La sera di fiera, La petite promenade du poète, O poesia poesia poesia, Tre giovani fiorentine camminano, Batte botte
Messa in voce di Gaetano Marino. Musiche tratte da Ghost Systems. Composed and performed by Simon Balestrazzi. Samples, field recordings, analogue and digital processing. AZHOT. 2016
le poesie:
Barche amorrate, La chimera, Giardino autunnale, La speranza, L’invetriata, Il canto della tenebra, La sera di fiera, La petite promenade du poète, O poesia poesia poesia, Tre giovani fiorentine camminano, Batte botte
La Divina Commedia di Dante Alighieri. Canto Primo
Nel mezzo del cammin di nostra vita
?mi ritrovai per una selva oscura?
ché la diritta via era smarrita.
Ah quanto a dir qual era è cosa dura
?esta selva selvaggia e aspra e forte
?che nel pensier rinova la paura!
Tant'è amara che poco è piú morte;
?ma per trattar del ben ch'io vi trovai,
?dirò dell'altre cose ch'i' v'ho scorte. [...]
Nel mezzo del cammin di nostra vita
?mi ritrovai per una selva oscura?
ché la diritta via era smarrita.
Ah quanto a dir qual era è cosa dura
?esta selva selvaggia e aspra e forte
?che nel pensier rinova la paura!
Tant'è amara che poco è piú morte;
?ma per trattar del ben ch'io vi trovai,
?dirò dell'altre cose ch'i' v'ho scorte. [...]
Prima o poi. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Gli occhiali. Un racconto di Edgar Allan Poe
Molti anni fa era di moda ridicolizzare l'idea dell'“amore a prima vista”, ma coloro che pensano, e ancor di più quelli che hanno dei sentimenti profondi, ne hanno sempre sostenuto l'esistenza. Le scoperte moderne, infatti, a proposito di ciò che può essere definito magnetismo etico o magnetoestetica, rendono più probabile che il più naturale e, conseguentemente, il più vero e più intenso sentimento umano sia quello che sorge nel cuore come se fosse mosso da una compassione elettrica – in sintesi, che le più lucenti e più durevoli delle catene fisiche siano quelle rivettate da un primo sguardo.[…]
Molti anni fa era di moda ridicolizzare l'idea dell'“amore a prima vista”, ma coloro che pensano, e ancor di più quelli che hanno dei sentimenti profondi, ne hanno sempre sostenuto l'esistenza. Le scoperte moderne, infatti, a proposito di ciò che può essere definito magnetismo etico o magnetoestetica, rendono più probabile che il più naturale e, conseguentemente, il più vero e più intenso sentimento umano sia quello che sorge nel cuore come se fosse mosso da una compassione elettrica – in sintesi, che le più lucenti e più durevoli delle catene fisiche siano quelle rivettate da un primo sguardo.[…]
La chiave d’oro. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Tentazione. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Epopea spicciola. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
La festa dei morti. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
L’agonia di un villaggio. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
03. Erodoto. Se una notte. Storie dalle Storie. Terza e ultima Puntata
TERZA E ULTIMA PUNTATA
I Peoni, la rivolta ionica. Traditori di Dario e tradimenti. Chiedere pane e acqua, sottomissione. Si può ingannare un popolo, meglio che un uomo solo. La attaglia di Maratona. Spartani e le mancate battaglie. Il re persiano Serse prosegue la volontà del padre Dario: conquistare la Grecia. Preparazione della spedizione militare dell'esercito Persiano. Costruzione del ponte per attraversare l’Ellesponto (stretto dei Dardanelli): primi fallimenti. La punizione del mare con ferro rovente e catene. La traversata del ponte: a fantastica e visionaria illustrazione degli eserciti alleati. La battaglia delle Termopili, il sacrificio di Leonida e i suoi trecento soldati. L’avanzata di Re Serse. La distruzione di Atene. La battaglia di Salamina, il disordine e il destino. Il coraggio e la temerarietà di Artemisia: il consiglio. La disfatta dei Persiani. La fuga e il ritorno in patria di Serse. Il sacrificio dei soldati Persiani. La terribile vendetta dell’eunuco Ermotimo. La battaglia di Platea. Intrighi e ultime vicende alla corte di Re Serse. Rapimenti e vendette.
TERZA E ULTIMA PUNTATA
I Peoni, la rivolta ionica. Traditori di Dario e tradimenti. Chiedere pane e acqua, sottomissione. Si può ingannare un popolo, meglio che un uomo solo. La attaglia di Maratona. Spartani e le mancate battaglie. Il re persiano Serse prosegue la volontà del padre Dario: conquistare la Grecia. Preparazione della spedizione militare dell'esercito Persiano. Costruzione del ponte per attraversare l’Ellesponto (stretto dei Dardanelli): primi fallimenti. La punizione del mare con ferro rovente e catene. La traversata del ponte: a fantastica e visionaria illustrazione degli eserciti alleati. La battaglia delle Termopili, il sacrificio di Leonida e i suoi trecento soldati. L’avanzata di Re Serse. La distruzione di Atene. La battaglia di Salamina, il disordine e il destino. Il coraggio e la temerarietà di Artemisia: il consiglio. La disfatta dei Persiani. La fuga e il ritorno in patria di Serse. Il sacrificio dei soldati Persiani. La terribile vendetta dell’eunuco Ermotimo. La battaglia di Platea. Intrighi e ultime vicende alla corte di Re Serse. Rapimenti e vendette.
02. Erodoto. Se una notte. Storie dalle Storie. Seconda Puntata
SECONDA PUNTATA:
Egitto, l’arte del desinare e della medicina. Le usanze funebri. L’arte dell’imbalsamazione, le sue tecniche e le differenti categorie sociali, precauzioni. Il defunto in pegno. Altri re egiziani: Sesostri e la fuga dal fuoco; Ferone il re cieco e il presagio d’una moglie infedele. La vera storia del rapimento di Elena. Altri re d’Egitto: Rampsinito, il suo immenso tesoro e il ladro scaltro. Cheope e le grandi Piramidi, un popolo in schiavitù, il sacrificio della prima figlia. Micerino e la sua preziosa e amata figliuola. Altri re d’Egitto. Persiani e la sconfitta dei Magi. Come Dario diventò re dei Persiani. L’immenso regno di Dario. Gli indiani, usi e costumi. I mangiatori d’uomini. I primi vegani della storia. Le formiche giganti e la caccia all’oro. L’Arabia e le sue straordinarie ricchezze: l’incenso e le spezie. Strane lucertole volanti. Come i cuccioli d’animali vendicano i loro padri. Sciti, sacrifici e usanze guerriere. La concia della pelle umana. Le tombe dei re Sciti, la sepoltura e la purificazione. Il popolo immortale dei Geti. Alla conquista degli Sciti, l’ultima battaglia per un coniglio.
SECONDA PUNTATA:
Egitto, l’arte del desinare e della medicina. Le usanze funebri. L’arte dell’imbalsamazione, le sue tecniche e le differenti categorie sociali, precauzioni. Il defunto in pegno. Altri re egiziani: Sesostri e la fuga dal fuoco; Ferone il re cieco e il presagio d’una moglie infedele. La vera storia del rapimento di Elena. Altri re d’Egitto: Rampsinito, il suo immenso tesoro e il ladro scaltro. Cheope e le grandi Piramidi, un popolo in schiavitù, il sacrificio della prima figlia. Micerino e la sua preziosa e amata figliuola. Altri re d’Egitto. Persiani e la sconfitta dei Magi. Come Dario diventò re dei Persiani. L’immenso regno di Dario. Gli indiani, usi e costumi. I mangiatori d’uomini. I primi vegani della storia. Le formiche giganti e la caccia all’oro. L’Arabia e le sue straordinarie ricchezze: l’incenso e le spezie. Strane lucertole volanti. Come i cuccioli d’animali vendicano i loro padri. Sciti, sacrifici e usanze guerriere. La concia della pelle umana. Le tombe dei re Sciti, la sepoltura e la purificazione. Il popolo immortale dei Geti. Alla conquista degli Sciti, l’ultima battaglia per un coniglio.
01. Erodoto. Se una notte. Storie dalle Storie. Prima Puntata
Prima Puntata:
Prologo, perché Greci e Persiani si fecero guerra - Lidi, Gige e il Re Candaule - Persiani e Assiri, usi e costumi, - L'incredibile leggenda del Re Ciro e di suo nonno Astiage. Alla scoperta delle meraviglie di Babilonia, usi e costumi. Il popolo dei massageti e la regina Tomiri. Il terribile destino di Ciro che non volle ascoltare i consgili della regina dei Massageti. Il popolo Egiziano. Origini ed esperimenti d’antropologia sul popolo più antico della terra. Usi e costumi. Il mistero del dio fiume Nilo, la sua origine e le sue vicende al cospetto del Sole. Le imbarazzanti teorie di una terra presumibilmente rotonda. Il mondo degli animali sacri, la comparsa della misterioso uccello della fenice e il suo lungo viaggio per la sepoltura del padre.
Prima Puntata:
Prologo, perché Greci e Persiani si fecero guerra - Lidi, Gige e il Re Candaule - Persiani e Assiri, usi e costumi, - L'incredibile leggenda del Re Ciro e di suo nonno Astiage. Alla scoperta delle meraviglie di Babilonia, usi e costumi. Il popolo dei massageti e la regina Tomiri. Il terribile destino di Ciro che non volle ascoltare i consgili della regina dei Massageti. Il popolo Egiziano. Origini ed esperimenti d’antropologia sul popolo più antico della terra. Usi e costumi. Il mistero del dio fiume Nilo, la sua origine e le sue vicende al cospetto del Sole. Le imbarazzanti teorie di una terra presumibilmente rotonda. Il mondo degli animali sacri, la comparsa della misterioso uccello della fenice e il suo lungo viaggio per la sepoltura del padre.
Relazione per un’Accademia. Di Franz Kafka
[…] Ed imparai, signori miei. Oh, s'impara quando si deve imparare; s'impara quando si vuol trovare una via d’uscita; s'impara disperatamente. Si sorveglia noi stessi con la verga; ci si strappa le carni ad ogni resistenza. La mia natura di scimmia uscì da me in fuga, tanto che il mio primo maestro divenne egli stesso quasi una scimmia. […]
[…] Ed imparai, signori miei. Oh, s'impara quando si deve imparare; s'impara quando si vuol trovare una via d’uscita; s'impara disperatamente. Si sorveglia noi stessi con la verga; ci si strappa le carni ad ogni resistenza. La mia natura di scimmia uscì da me in fuga, tanto che il mio primo maestro divenne egli stesso quasi una scimmia. […]
La barberina di Marcantonio. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Sul primo treno. Liberamente tratto da un racconto di Roberto Contu
Sul primo treno si ritrovarono in uno scomparto mezzo vuoto, chiacchierarono dei compagni di classe, e mangiarono le patatine che Lei aveva comprato al bar della scuola; ma i panini no, che? comunque la tratta durava solo tre quarti d’ora. Al paese, sul binario, Lei disse che da qualche parte aveva letto che Sciascia viaggiava solo per il gusto di leggere in treno. [...]
Sul primo treno si ritrovarono in uno scomparto mezzo vuoto, chiacchierarono dei compagni di classe, e mangiarono le patatine che Lei aveva comprato al bar della scuola; ma i panini no, che? comunque la tratta durava solo tre quarti d’ora. Al paese, sul binario, Lei disse che da qualche parte aveva letto che Sciascia viaggiava solo per il gusto di leggere in treno. [...]
I primi giorni a Montevecchio. Da Il figlio di Bakunìn, di Sergio Atzeni
[…] A quel tempo, la mattina presto si andava a lavorare con qualcosa sulla testa, per proteggersi dall’umido. Chi aveva cicia, chi bonette. Lui, dal primo giorno, basco alla francese. Sembrava lo facesse apposta per continuare a distinguersi dal gregge. Poi si é visto che ai sorveglianti e agli impiegati di Montevecchio quel basco dava fastidio, chissà perché? Lo guardavano male. Ma cosa potevano dire? Il duce mica aveva proibito ai minatori di portare basco alla francese. In capo a quindici giorni avevamo tutti copricapo uguale al suo. […]
[…] A quel tempo, la mattina presto si andava a lavorare con qualcosa sulla testa, per proteggersi dall’umido. Chi aveva cicia, chi bonette. Lui, dal primo giorno, basco alla francese. Sembrava lo facesse apposta per continuare a distinguersi dal gregge. Poi si é visto che ai sorveglianti e agli impiegati di Montevecchio quel basco dava fastidio, chissà perché? Lo guardavano male. Ma cosa potevano dire? Il duce mica aveva proibito ai minatori di portare basco alla francese. In capo a quindici giorni avevamo tutti copricapo uguale al suo. […]
La Dama Bianca. Una novella di Grazia Deledda messa in voce da Caterina Scalas
Era una notte di maggio del 1873. In una capanna perduta nelle cussorgias solitarie del villaggio di zio Salvatore, due giovani pastori dormivano accanto al fuoco semi-spento. Fuori, vicino alla capanna, le vacche dormivano nell'ovile di pietre e di siepe, e la luna d'aprile, tramontando sull'occidente di un bel roseo flavo, illuminava la campagna sterminata, nera, chiusa da montagne nude, a picco. A un certo punto uno dei pastori si svegliò, e rizzandosi a sedere guardò se albeggiava. Visto che la notte era ancora alta ravvivò il fuoco, e, a gambe in croce restò un momento muto, immobile, tormentato da un pensiero; poi svegliò il compagno. [...]
Era una notte di maggio del 1873. In una capanna perduta nelle cussorgias solitarie del villaggio di zio Salvatore, due giovani pastori dormivano accanto al fuoco semi-spento. Fuori, vicino alla capanna, le vacche dormivano nell'ovile di pietre e di siepe, e la luna d'aprile, tramontando sull'occidente di un bel roseo flavo, illuminava la campagna sterminata, nera, chiusa da montagne nude, a picco. A un certo punto uno dei pastori si svegliò, e rizzandosi a sedere guardò se albeggiava. Visto che la notte era ancora alta ravvivò il fuoco, e, a gambe in croce restò un momento muto, immobile, tormentato da un pensiero; poi svegliò il compagno. [...]
In sartu. Una novella di Grazia Deledda messa in voce da Roberta Perra
Zio Nanneddu Fenu aveva l'ovile dalla parte di Tresnuraghes, cioè quasi due ore distante da Nuoro, in una bella tanca dove l'erba durava fresca sino al mese di giugno. Ogni due o tre giorni la moglie o la figlia, la simpatica Manzèla, si recavano a piedi, da Nuoro all'ovile di zio Nanneddu, per godersi una giornata di sole e portare delle vivande al vecchio pastore.
Zio Nanneddu Fenu aveva l'ovile dalla parte di Tresnuraghes, cioè quasi due ore distante da Nuoro, in una bella tanca dove l'erba durava fresca sino al mese di giugno. Ogni due o tre giorni la moglie o la figlia, la simpatica Manzèla, si recavano a piedi, da Nuoro all'ovile di zio Nanneddu, per godersi una giornata di sole e portare delle vivande al vecchio pastore.
La promessa. Una novella di Grazia Deledda messa in voce da Lilli Fois
Coperti di stracci, abbrustoliti dal freddo, con certi scarponi che affondavano nelle pozzanghere come draghe nel porto, tuttavia sani, allegri e sudicioni a più non posso, i bambini della lavandaia se ne stavano quasi tutto il giorno davanti alla finestra bassa della cantina, dove la madre, vera figura da "novecento", tutta ossa e ventre, con la grande faccia ovale e nìvea dentro una cuffia di capelli neri ridotti a stoffa, lavava e sbatteva i panni con un fracasso da terremoto.
Coperti di stracci, abbrustoliti dal freddo, con certi scarponi che affondavano nelle pozzanghere come draghe nel porto, tuttavia sani, allegri e sudicioni a più non posso, i bambini della lavandaia se ne stavano quasi tutto il giorno davanti alla finestra bassa della cantina, dove la madre, vera figura da "novecento", tutta ossa e ventre, con la grande faccia ovale e nìvea dentro una cuffia di capelli neri ridotti a stoffa, lavava e sbatteva i panni con un fracasso da terremoto.
L’ultima visita. Una novella di Giovanni Verga
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
Le novelle di Giovanni Verga. Riconosciuto come il più grande novelliere italiano del secondo Ottocento Verga è il principale rappresentante del Verismo italiano. La poetica verghiana nega ogni possibilità di sviluppo sociale. Nessun individuo, indipendentemente dalla propria posizione sociale, può sperare nella felicità, perché essa appare una vera utopia.
La passione di Gesù. Dal Vangelo secondo Matteo. Morte e resurrezione di Gesù Cristo
Durante la sua passione Gesù parla poche volte, perché la sua passione e morte egli
l’ha già accettata e interpretata durante l’ultima cena. Lì ha dato il senso alla sua
passione e morte: il senso del dono di sé. Dicendo: «Questo è il mio corpo; questo è il
mio sangue dell’alleanza versato per molti in remissione dei peccati», Gesù dice
quale è il senso della sua morte: un dono di amore per il Padre e per noi.
Durante la sua passione Gesù parla poche volte, perché la sua passione e morte egli
l’ha già accettata e interpretata durante l’ultima cena. Lì ha dato il senso alla sua
passione e morte: il senso del dono di sé. Dicendo: «Questo è il mio corpo; questo è il
mio sangue dell’alleanza versato per molti in remissione dei peccati», Gesù dice
quale è il senso della sua morte: un dono di amore per il Padre e per noi.
Elbrus. Capitolo terzo. Dal romanzo di Giuseppe Di Clemente e Marco Capocasa
Ventiduesimo secolo. La Terra è al collasso. Le conseguenze del riscaldamento globale hanno iniziato a compromettere seriamente la vita sul pianeta. L’umanità deve fare i conti con il più grave dei problemi: la scarsità di risorse e le conseguenti enormi difficoltà nel garantire la sopravvivenza stessa del genere umano. L’esplorazione spaziale ha fallito nel suo obiettivo fondamentale, la fondazione di colonie autosufficienti dove l’Uomo del futuro potesse emanciparsi. Gli ostacoli non sono quelli dovuti alle tecnologie disponibili, ma alla natura stessa della specie umana. Quando tutto sembrerebbe perduto, un’insperata opportunità di salvezza viene a materializzarsi. Arriva da molto lontano, da un altro sistema solare. Per coglierla, le migliori menti del pianeta dovranno rivedere i confini dell’etica della scienza e compiere scelte che metteranno a dura prova la loro morale. Nel frattempo, in basi sotterranee astronauti vengono addestrati come coloni per imminenti missioni nello spazio.
Ventiduesimo secolo. La Terra è al collasso. Le conseguenze del riscaldamento globale hanno iniziato a compromettere seriamente la vita sul pianeta. L’umanità deve fare i conti con il più grave dei problemi: la scarsità di risorse e le conseguenti enormi difficoltà nel garantire la sopravvivenza stessa del genere umano. L’esplorazione spaziale ha fallito nel suo obiettivo fondamentale, la fondazione di colonie autosufficienti dove l’Uomo del futuro potesse emanciparsi. Gli ostacoli non sono quelli dovuti alle tecnologie disponibili, ma alla natura stessa della specie umana. Quando tutto sembrerebbe perduto, un’insperata opportunità di salvezza viene a materializzarsi. Arriva da molto lontano, da un altro sistema solare. Per coglierla, le migliori menti del pianeta dovranno rivedere i confini dell’etica della scienza e compiere scelte che metteranno a dura prova la loro morale. Nel frattempo, in basi sotterranee astronauti vengono addestrati come coloni per imminenti missioni nello spazio.
i-X-ando un Paragrapo. Un racconto di Edgar Allan Poe. Traduzione di Cesare Giombetti
[...] Devo essere onesto con lui però, e dire che, comunque, quando finalmente si adattò a quel nuovo trasferimento, si rese conto che non esisteva là nessun quotidiano e, conseguentemente, nessun redattore esisteva in quell'area specifica di quella nazione.
Quando creò “La teiera” dunque, sapeva di non poter contare su altri se non su se stesso.
Sono quasi certo che non avrebbe mai sognato di prendere la residenza ad Alessandro-Magnopoli se avesse saputo che – ad Alessandromagnopoli – viveva un uomo chiamato John Smith (se ricordo bene), che per molti anni fece i soldoni con la pubblicazione della “Gazzetta di Alessandromagnopoli”. [...]
[...] Devo essere onesto con lui però, e dire che, comunque, quando finalmente si adattò a quel nuovo trasferimento, si rese conto che non esisteva là nessun quotidiano e, conseguentemente, nessun redattore esisteva in quell'area specifica di quella nazione.
Quando creò “La teiera” dunque, sapeva di non poter contare su altri se non su se stesso.
Sono quasi certo che non avrebbe mai sognato di prendere la residenza ad Alessandro-Magnopoli se avesse saputo che – ad Alessandromagnopoli – viveva un uomo chiamato John Smith (se ricordo bene), che per molti anni fece i soldoni con la pubblicazione della “Gazzetta di Alessandromagnopoli”. [...]
La Sfinge. Un racconto di Edgar Allan Poe. Traduzione di Cesare Giombetti
[...] Grazie alla musica e ai libri, avremmo passato un bel periodo, se non fosse stato per la consapevolezza del terrore che stava colpendo la città, e che ci raggiungeva ogni giorno.
Non passava giorno che non ci portasse notizie del decesso di qualche conoscente. E come le morti aumentavano, ci abituavamo all'idea di avere quotidianamente la perdita di un amico. Dopo un po' iniziammo a tremare all'arrivo di qualsiasi messaggero. Il vento che proveniva da mezzogiorno ci pareva che avesse un olezzo di morte. Quel pensiero paralizzante prendeva interamente possesso della mia anima. Non potevo neanche parlare, né sognare, né altro. [...]
[...] Grazie alla musica e ai libri, avremmo passato un bel periodo, se non fosse stato per la consapevolezza del terrore che stava colpendo la città, e che ci raggiungeva ogni giorno.
Non passava giorno che non ci portasse notizie del decesso di qualche conoscente. E come le morti aumentavano, ci abituavamo all'idea di avere quotidianamente la perdita di un amico. Dopo un po' iniziammo a tremare all'arrivo di qualsiasi messaggero. Il vento che proveniva da mezzogiorno ci pareva che avesse un olezzo di morte. Quel pensiero paralizzante prendeva interamente possesso della mia anima. Non potevo neanche parlare, né sognare, né altro. [...]
Eleonora. Un racconto di Edgar Allan Poe
[...] Coloro che sognano ad occhi aperti sono consci di molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. Nelle loro grigie visioni colgono frammenti d'eternità e destandosi fremono nell'intimo allo scoprire d'esser stati sulla soglia del gran segreto. A tratti, apprendono qualcosa della sapienza che ha per oggetto il bene, e qualcosa di più sulla pura conoscenza del male. Penetrano, benché senza timone o bussola, nel vasto oceano della «luce ineffabile» e una volta ancora, come gli avventurieri del geografo nubiano, «agressi sunt Mare Tenebrarum quid in eo esset exploraturi». [...]
[...] Coloro che sognano ad occhi aperti sono consci di molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. Nelle loro grigie visioni colgono frammenti d'eternità e destandosi fremono nell'intimo allo scoprire d'esser stati sulla soglia del gran segreto. A tratti, apprendono qualcosa della sapienza che ha per oggetto il bene, e qualcosa di più sulla pura conoscenza del male. Penetrano, benché senza timone o bussola, nel vasto oceano della «luce ineffabile» e una volta ancora, come gli avventurieri del geografo nubiano, «agressi sunt Mare Tenebrarum quid in eo esset exploraturi». [...]
La mascherata della morte rossa. Un racconto di Edgar Allan Poe
Da gran tempo la «Morte Rossa» devastava la regione. Mai pestilenza era stata tanto fatale, o tanto atroce. Il sangue era il suo Avatar e il suo sigillo: il rosso del sangue, il suo orrore. Dolori acuti, poi subito vertigine, poi sangue e sangue che essudava dai pori, e la dissoluzione finale. Le chiazze scarlatte sul corpo e specialmente sul volto della vittima erano il bando letale che la escludevano dall'aiuto e dalla pietà dei suoi simili. Il tutto - l'insorgere, l'aggravarsi e il concludersi del morbo - era affare di mezz'ora. [...]
Da gran tempo la «Morte Rossa» devastava la regione. Mai pestilenza era stata tanto fatale, o tanto atroce. Il sangue era il suo Avatar e il suo sigillo: il rosso del sangue, il suo orrore. Dolori acuti, poi subito vertigine, poi sangue e sangue che essudava dai pori, e la dissoluzione finale. Le chiazze scarlatte sul corpo e specialmente sul volto della vittima erano il bando letale che la escludevano dall'aiuto e dalla pietà dei suoi simili. Il tutto - l'insorgere, l'aggravarsi e il concludersi del morbo - era affare di mezz'ora. [...]
Il diavolo nel campanile. Un racconto di Edgar Allan Poe
[...] Chissà a quale disperato atto di vendetta si sarebbero sollevati gli abitanti di fronte a quell'immorale aggressione se non fosse intervenuto un fatto importantissimo: mancava soltanto un secondo a mezzogiorno. La campana stava per suonare le ore, ed era questione di assoluta e preminente necessità che ognuno tenesse d'occhio il proprio orologio. Era evidente però che in quel preciso momento il tizio dentro la torre campanara stava combinando coll'orologio qualcosa che non aveva il minimo diritto di fare, ma dato che proprio allora la campana cominciò a suonare, nessuno ebbe tempo di badare alle sue manovre, perché tutti quanti dovevano contare i rintocchi. [...]
[...] Chissà a quale disperato atto di vendetta si sarebbero sollevati gli abitanti di fronte a quell'immorale aggressione se non fosse intervenuto un fatto importantissimo: mancava soltanto un secondo a mezzogiorno. La campana stava per suonare le ore, ed era questione di assoluta e preminente necessità che ognuno tenesse d'occhio il proprio orologio. Era evidente però che in quel preciso momento il tizio dentro la torre campanara stava combinando coll'orologio qualcosa che non aveva il minimo diritto di fare, ma dato che proprio allora la campana cominciò a suonare, nessuno ebbe tempo di badare alle sue manovre, perché tutti quanti dovevano contare i rintocchi. [...]
Il Silenzio, ovvero, una favola. Di Edgar Allan Poe
[...] «Le acque del fiume hanno un colore malaticcio, simile al color pallido dello zafferano: ed esse non scorrono verso il mare, ma vanno in sempiterno versò l'occhio infuocato del sole tumultuoso. Per miglia e miglia si estende, su entrambi i lati del letto melmoso del fiume, un pallido deserto di gigantesche ninfee. Esse sospirano, l'una verso l'altra, in quella solitudine, e protendono verso il cielo i loro lunghi colli spettrali, tentennando le teste che sanno di immortalità. E mormorano indistintamente tra loro, come vi fosse acqua di sotterranea meraviglia. [...]
[...] «Le acque del fiume hanno un colore malaticcio, simile al color pallido dello zafferano: ed esse non scorrono verso il mare, ma vanno in sempiterno versò l'occhio infuocato del sole tumultuoso. Per miglia e miglia si estende, su entrambi i lati del letto melmoso del fiume, un pallido deserto di gigantesche ninfee. Esse sospirano, l'una verso l'altra, in quella solitudine, e protendono verso il cielo i loro lunghi colli spettrali, tentennando le teste che sanno di immortalità. E mormorano indistintamente tra loro, come vi fosse acqua di sotterranea meraviglia. [...]
Il gatto nero. Un racconto di Edgar Allan Poe
[...] Quando, al mattino, ritornò la ragione, provai un sentimento di orrore, di rimorso per ciò ce avevo fatto; ma era tutt'al più un sentimento debole ed equivoco, e l'anima non ne fu toccata. Di nuovo mi diedi agli stravizi, e ben presto affogai nel vino ogni ricordo del mio atto.
Nel frattempo, il gatto lentamente guarì. L'orbita dell'occhio perduto era, è vero, spaventosa a vedersi, ma pareva che non ne soffrisse più. Girava per la casa come al solito ma, ovviamente, fuggiva terrorizzato ogni volta che mi avvicinavo. Rimanevo afflitto di fronte a quella ripugnanza, soprattutto da parte di una creatura che una volta mi aveva tanto amato. Ma a questo sentimento subentrò ben presto l’indignazione mia, potrei dire irritazione. E poi, a mia definitiva e irrevocabile rovina, sopraggiunse la PERVERSITÀ. [...]
[...] Quando, al mattino, ritornò la ragione, provai un sentimento di orrore, di rimorso per ciò ce avevo fatto; ma era tutt'al più un sentimento debole ed equivoco, e l'anima non ne fu toccata. Di nuovo mi diedi agli stravizi, e ben presto affogai nel vino ogni ricordo del mio atto.
Nel frattempo, il gatto lentamente guarì. L'orbita dell'occhio perduto era, è vero, spaventosa a vedersi, ma pareva che non ne soffrisse più. Girava per la casa come al solito ma, ovviamente, fuggiva terrorizzato ogni volta che mi avvicinavo. Rimanevo afflitto di fronte a quella ripugnanza, soprattutto da parte di una creatura che una volta mi aveva tanto amato. Ma a questo sentimento subentrò ben presto l’indignazione mia, potrei dire irritazione. E poi, a mia definitiva e irrevocabile rovina, sopraggiunse la PERVERSITÀ. [...]
Morella. Un racconto di Edgar Allan Poe
[...] E allora - allora, quando, meditando su pagine proibite, sentivo accendersi dentro di me uno spirito proibito, Morella posava la sua gelida mano sulla mia, e dalle ceneri di una filosofia morta riesumava sommesse, parole singolari, il cui strano significato si stampava a fuoco nella mia memoria. E allora, ora dopo ora, indugiavo al suo fianco, intento alla musica della sua voce, sinché alla fine la sua melodia non si incrinava di terrore e un'ombra mi cadeva sull'anima, ed io impallidivo, rabbrividendo dentro di me a quei toni ultraterreni. E così, all'improvviso, la gioia si estingueva nell'orrore, e ciò che era più bello diveniva il più laido. [...]
[...] E allora - allora, quando, meditando su pagine proibite, sentivo accendersi dentro di me uno spirito proibito, Morella posava la sua gelida mano sulla mia, e dalle ceneri di una filosofia morta riesumava sommesse, parole singolari, il cui strano significato si stampava a fuoco nella mia memoria. E allora, ora dopo ora, indugiavo al suo fianco, intento alla musica della sua voce, sinché alla fine la sua melodia non si incrinava di terrore e un'ombra mi cadeva sull'anima, ed io impallidivo, rabbrividendo dentro di me a quei toni ultraterreni. E così, all'improvviso, la gioia si estingueva nell'orrore, e ciò che era più bello diveniva il più laido. [...]
Ombra. Un racconto di Edgar Allan Poe
La storia è raccontata da un'anima passata nell'Inferno da molti secoli. Si tratta del greco Oinos (che vuol dire "Vino") il quale assieme a sette amici si trova una sera in una casa della città libica Tolemaide. Gli ospiti stanno banchettando allegramente, recitando alcuni versi del poeta Anacreonte e bevendo coppe e calici di vino quando Oinos comincia a sentire un'oscura presenza e forti brividi gli percorrono la schiena. Infatti trova tutto molto strano in quell'ambiente compresa una colossale porta di bronzo.
Ad un tratto Oinos si riprende dallo stordimento e si rende conto che sta banchettando alla presenza di un cadavere ucciso dalla peste disteso sulla tavola ellittica...
La storia è raccontata da un'anima passata nell'Inferno da molti secoli. Si tratta del greco Oinos (che vuol dire "Vino") il quale assieme a sette amici si trova una sera in una casa della città libica Tolemaide. Gli ospiti stanno banchettando allegramente, recitando alcuni versi del poeta Anacreonte e bevendo coppe e calici di vino quando Oinos comincia a sentire un'oscura presenza e forti brividi gli percorrono la schiena. Infatti trova tutto molto strano in quell'ambiente compresa una colossale porta di bronzo.
Ad un tratto Oinos si riprende dallo stordimento e si rende conto che sta banchettando alla presenza di un cadavere ucciso dalla peste disteso sulla tavola ellittica...
Il cuore rivelatore. Un racconto di Edgar Allan Poe
Il racconto è la confessione dell'omicidio di un vecchio.
L'anonimo protagonista puntualizza immediatamente di essere sano di mente anche se un po' nervoso; durante tutto il racconto vorrà dimostrare la sua lucidità mentale nel premeditare e compiere il crimine.
L'assassino amava il vecchio con cui viveva, ma non sopportava il suo occhio chiaro da avvoltoio, quell'occhio sempre incombente, vitreo, che lo innervosiva, lo faceva letteralmente diventare matto.
Il racconto è la confessione dell'omicidio di un vecchio.
L'anonimo protagonista puntualizza immediatamente di essere sano di mente anche se un po' nervoso; durante tutto il racconto vorrà dimostrare la sua lucidità mentale nel premeditare e compiere il crimine.
L'assassino amava il vecchio con cui viveva, ma non sopportava il suo occhio chiaro da avvoltoio, quell'occhio sempre incombente, vitreo, che lo innervosiva, lo faceva letteralmente diventare matto.
Fileddu, il Dandy. Di Gianni Pititu
In un palcoscenico in cui sfilano tutti gli attori e si dipanano tutte le situazioni e tutte le condizioni del vivere non poteva mancare l’interprete della labilità mentale, l'essere che passa nella vita come in un sogno, certo delle sue istintive abitudini, spettatore di un mondo visto con sguardo di puro disincanto. Una condizione di suprema, serafica certezza che nulla e nessuno possono far vacillare, imperforabile al dubbio, ignara di ogni inganno, felice a modo suo. Così viveva Fileddu, l’inconsapevole dandy, in una Nuoro che proprio di lui aveva bisogno, ché rappresentava la coscienza incosciente della coscienza collettiva. I signori del caffè Tettamanzi si sentivano appagati vedendo Fileddu, l’umile loro servitore, e allo stesso tempo si mettevano in pace l’anima perché era proprio Fileddu a credersi uno di loro e a condividerne la quotidianità.
Dal Libro Nuoro nella belle Epoque, Di Gianni Pititu. AM&D Edizioni
In un palcoscenico in cui sfilano tutti gli attori e si dipanano tutte le situazioni e tutte le condizioni del vivere non poteva mancare l’interprete della labilità mentale, l'essere che passa nella vita come in un sogno, certo delle sue istintive abitudini, spettatore di un mondo visto con sguardo di puro disincanto. Una condizione di suprema, serafica certezza che nulla e nessuno possono far vacillare, imperforabile al dubbio, ignara di ogni inganno, felice a modo suo. Così viveva Fileddu, l’inconsapevole dandy, in una Nuoro che proprio di lui aveva bisogno, ché rappresentava la coscienza incosciente della coscienza collettiva. I signori del caffè Tettamanzi si sentivano appagati vedendo Fileddu, l’umile loro servitore, e allo stesso tempo si mettevano in pace l’anima perché era proprio Fileddu a credersi uno di loro e a condividerne la quotidianità.
Dal Libro Nuoro nella belle Epoque, Di Gianni Pititu. AM&D Edizioni
Don Menotti Gallisay, Capopopolo. Di Gianni Pititu
Un vecchio nuorese ha dato di don Menotti la definizione più completa: era un pazzo geniale. È risaputo che l’intelligenza, quando trabocca, si congiunge con qualcosa che assomiglia alla pazzia. Bizzarro era, don Menotti, certamente. E sempre cupo. Di una cupezza che rifletteva un animo dubbioso, tormentato, una mente rimuginante chissà quali frustrazioni, un temperamento propenso a disfarsi di non si sa quali nemici. Capopopolo. Odiava i signori, anzi i nobili. Ma nobile era egli stesso, anche se decaduto. Forse per questa decadenza di una condizione un tempo florida, forse per uggia verso il parentado, egli coltivava quell’odio che non accennava a placarsi. Questioni di eredità, che a Nuoro hanno sempre avuto il loro peso, costituendo motivo di dicerie, insieme ai fallimenti e alle vicende di cuore. Ma odiava anche gli altri. Meglio, li ignorava. Passava sotto il suo sguardo a volte fiero a volte dimesso il fiume della vita e degli uomini, che considerava divisi in due categorie: gli ignoranti che si fanno schiavi senza rendersene conto e che quindi meritano la loro condizione e i padroni che sfruttano gli imbecilli e che non hanno alcun merito, proprio perché le loro vittime sono ignare.
Un vecchio nuorese ha dato di don Menotti la definizione più completa: era un pazzo geniale. È risaputo che l’intelligenza, quando trabocca, si congiunge con qualcosa che assomiglia alla pazzia. Bizzarro era, don Menotti, certamente. E sempre cupo. Di una cupezza che rifletteva un animo dubbioso, tormentato, una mente rimuginante chissà quali frustrazioni, un temperamento propenso a disfarsi di non si sa quali nemici. Capopopolo. Odiava i signori, anzi i nobili. Ma nobile era egli stesso, anche se decaduto. Forse per questa decadenza di una condizione un tempo florida, forse per uggia verso il parentado, egli coltivava quell’odio che non accennava a placarsi. Questioni di eredità, che a Nuoro hanno sempre avuto il loro peso, costituendo motivo di dicerie, insieme ai fallimenti e alle vicende di cuore. Ma odiava anche gli altri. Meglio, li ignorava. Passava sotto il suo sguardo a volte fiero a volte dimesso il fiume della vita e degli uomini, che considerava divisi in due categorie: gli ignoranti che si fanno schiavi senza rendersene conto e che quindi meritano la loro condizione e i padroni che sfruttano gli imbecilli e che non hanno alcun merito, proprio perché le loro vittime sono ignare.
Francesco Ganga Predischedda, il Maestro. Di Gianni Pititu
Maestro Ganga era un primattore di quella vita comunitaria in cui nulla accadeva se non il trascorrere dei giorni, le nascite, i matrimoni, i processi e i funerali. Egli tuttavia offre qualche elemento di variazione, quindi di vita, staccandosi in modo netto da quei nuoresi «sterili», che «non ridono mai». Un gaudente, si direbbe, per la personalità estroversa, l’eccentricità, la propensione alla poesia, al canto, alla musica, per lo scorrere incontenibile dei suoi lazzi, per la composizione acuta delle sue “laudi”, che diventano, appena uscite dalla sua penna, patrimonio di tutti i nuoresi. Perché a Nuoro tutto è lecito, tutto è ammesso e consentito, purché scaturisca da intelligenza e probità. E il Nostro era intelligente e probo. Per il resto sono mugugni e condanne.
Da "Nuoro nella Belle Epoque" di Gianni Pititu. AM&D Edizioni
Maestro Ganga era un primattore di quella vita comunitaria in cui nulla accadeva se non il trascorrere dei giorni, le nascite, i matrimoni, i processi e i funerali. Egli tuttavia offre qualche elemento di variazione, quindi di vita, staccandosi in modo netto da quei nuoresi «sterili», che «non ridono mai». Un gaudente, si direbbe, per la personalità estroversa, l’eccentricità, la propensione alla poesia, al canto, alla musica, per lo scorrere incontenibile dei suoi lazzi, per la composizione acuta delle sue “laudi”, che diventano, appena uscite dalla sua penna, patrimonio di tutti i nuoresi. Perché a Nuoro tutto è lecito, tutto è ammesso e consentito, purché scaturisca da intelligenza e probità. E il Nostro era intelligente e probo. Per il resto sono mugugni e condanne.
Da "Nuoro nella Belle Epoque" di Gianni Pititu. AM&D Edizioni
Don Benedetto Ballero, il Nobile. Di Gianni Pititu
La più frequente rappresentazione di don Benedetto Ballero è quella che lo ritrae immobile, seduto dietro il bancone e la grata in ferro che faceva da schermo fra lui e il cliente di turno, nel suo tabacchino al corso. Era una stanzuccia, ricavata nel piano terra del palazzetto di famiglia. Qui scendeva con tutta calma ogni mattina don Benedetto. Ad aprire la rivendita pensava la fida Carmela, perché il padrone la notte faceva tardi a rincasare o comunque a dormire, dovendo onorare la compagnia degli amici. Arrivava e si disponeva a passare la mattinata. Raramente si alzava dal suo fido sgabello se non per affacciarsi alla porta nelle ore in cui sapeva che nessun cliente sarebbe arrivato a rifornirsi di sigari o di sigarette “sciolte” o ad acquistare un giornale. [...]
La più frequente rappresentazione di don Benedetto Ballero è quella che lo ritrae immobile, seduto dietro il bancone e la grata in ferro che faceva da schermo fra lui e il cliente di turno, nel suo tabacchino al corso. Era una stanzuccia, ricavata nel piano terra del palazzetto di famiglia. Qui scendeva con tutta calma ogni mattina don Benedetto. Ad aprire la rivendita pensava la fida Carmela, perché il padrone la notte faceva tardi a rincasare o comunque a dormire, dovendo onorare la compagnia degli amici. Arrivava e si disponeva a passare la mattinata. Raramente si alzava dal suo fido sgabello se non per affacciarsi alla porta nelle ore in cui sapeva che nessun cliente sarebbe arrivato a rifornirsi di sigari o di sigarette “sciolte” o ad acquistare un giornale. [...]
Francesco Congiu Pes, ovvero, Conzu Mandrone, l’Artista. Di Gianni Pititu
A Nuoro Francesco Congiu Pes, il pittore, detto Conzu Mandrone (poltrone), era diventato una vera e propria istituzione per il suo modo elegante, unico, di non chiedere mai e di ottenere sempre, di rendere arcane le sue fonti di sostentamento. Tutti sapevano che quell’uomo aveva necessità, anche se pareva lontano da una condizione di miseria. E lo aiutavano nel modo meno umiliante per chi dà e per chi riceve. Congiu Pes non coltivava le stramberie tipiche degli artisti. Vivendo nella quasi totale indigenza, era un po’ prigioniero di questa sua condizione che non lo portò, da vero nuorese quale era, mai ad umiliarsi. Viveva la sua stagione, esibiva il look poco costoso del pittore da caffè, portava a spasso per le vie di Nuoro una ricercatezza ingenua, si industriava a procacciarsi da vivere nel modo più miracolistico che ci sia: lasciando, quasi senza saperlo, una cospicua eredità artistica. Del resto, sempre l’artista a Nuoro è stato scarsamente considerato, avendo scelto il mestiere più facile, “il mestiere del non far nulla”. Ma Mario Ciusa Romagna, un nuorese “antico”, riferendo una simile apostrofe, reagisce con forza: «L'importante è agire, anche contro quelli che non vogliono che si agisca». E, a proposito degli artisti incompresi o snobbati o anche derisi, così li nobilita: «Avevano essi scelto il mestiere di interpretare l'umanità, l'essenza stessa della vita, gli uomini e le divinità, la terra e il cielo». Da "Nuoro nella Bella Epoque" di Gianni Pititu.
A Nuoro Francesco Congiu Pes, il pittore, detto Conzu Mandrone (poltrone), era diventato una vera e propria istituzione per il suo modo elegante, unico, di non chiedere mai e di ottenere sempre, di rendere arcane le sue fonti di sostentamento. Tutti sapevano che quell’uomo aveva necessità, anche se pareva lontano da una condizione di miseria. E lo aiutavano nel modo meno umiliante per chi dà e per chi riceve. Congiu Pes non coltivava le stramberie tipiche degli artisti. Vivendo nella quasi totale indigenza, era un po’ prigioniero di questa sua condizione che non lo portò, da vero nuorese quale era, mai ad umiliarsi. Viveva la sua stagione, esibiva il look poco costoso del pittore da caffè, portava a spasso per le vie di Nuoro una ricercatezza ingenua, si industriava a procacciarsi da vivere nel modo più miracolistico che ci sia: lasciando, quasi senza saperlo, una cospicua eredità artistica. Del resto, sempre l’artista a Nuoro è stato scarsamente considerato, avendo scelto il mestiere più facile, “il mestiere del non far nulla”. Ma Mario Ciusa Romagna, un nuorese “antico”, riferendo una simile apostrofe, reagisce con forza: «L'importante è agire, anche contro quelli che non vogliono che si agisca». E, a proposito degli artisti incompresi o snobbati o anche derisi, così li nobilita: «Avevano essi scelto il mestiere di interpretare l'umanità, l'essenza stessa della vita, gli uomini e le divinità, la terra e il cielo». Da "Nuoro nella Bella Epoque" di Gianni Pititu.
Rosas. Per una biografia collettiva di un Padre
Voci e ricordi di una grande famiglia si affacciano dalle pagine di un libro. Memorie private raccolte da Pietro Rudellat, e fissate oltre le parole scritte in un originale lavoro fotografico tratto dal progetto d’arte “Dima” di Gianluca Vassallo; dove padri e figli si fondono magici nel bianco e nero di un tempo oltre il tempo.
Voci e ricordi di una grande famiglia si affacciano dalle pagine di un libro. Memorie private raccolte da Pietro Rudellat, e fissate oltre le parole scritte in un originale lavoro fotografico tratto dal progetto d’arte “Dima” di Gianluca Vassallo; dove padri e figli si fondono magici nel bianco e nero di un tempo oltre il tempo.
A de Notte. Poesia in musica cantata in Limba Nuorese. Da Alcmane, Saffo, Dante e Petrarca.
Un brano realizzato da Pietro Falconi e Giovanna Maria Piga, studenti del Liceo Ginnasio Asproni, di Nuoro.
Frutto di una trasposizione musicale e rielaborazione in lingua sarda - nella variante nuorese - di diversi componimenti letterari.
* “Notturno", del poeta greco Alcmane;
* liriche numero 168B, 96 e 34 della poetessa Saffo;
* secondo canto dell'Inferno di Dante Alighieri
* sonetto 168 di Francesco Petrarca.
Inizialmente il progetto riguardava esclusivamente "Notturno", e solo in seguito aggiungemmo tutti gli altri componimenti.
L'idea del progetto da cui è nato il brano nasce ad Aprile dell’anno 2020, da una proposta della nostra professoressa di latino e greco Bonaventura Maria Grazia Frogheri.
Un brano realizzato da Pietro Falconi e Giovanna Maria Piga, studenti del Liceo Ginnasio Asproni, di Nuoro.
Frutto di una trasposizione musicale e rielaborazione in lingua sarda - nella variante nuorese - di diversi componimenti letterari.
* “Notturno", del poeta greco Alcmane;
* liriche numero 168B, 96 e 34 della poetessa Saffo;
* secondo canto dell'Inferno di Dante Alighieri
* sonetto 168 di Francesco Petrarca.
Inizialmente il progetto riguardava esclusivamente "Notturno", e solo in seguito aggiungemmo tutti gli altri componimenti.
L'idea del progetto da cui è nato il brano nasce ad Aprile dell’anno 2020, da una proposta della nostra professoressa di latino e greco Bonaventura Maria Grazia Frogheri.
02- Ho incontrato le mie donne. Poesie di Francesca Branca. Secondo gruppo
Ho incontrato le mie donne. Son venute da lontano, hanno rotto il segreto, infranto la vergogna, mi hanno, donato una catena e hanno ripreso il largo, mi hanno ridato vita.
Le donne di Francesca del secondo gruppo di poesie:
Viola, Luisa, Zenia, Figlia di Sant’Antonio, Elisa, Lina, Teresa, a Mamma, Polvere di Stelle, A mie Figlie.
Ho incontrato le mie donne. Son venute da lontano, hanno rotto il segreto, infranto la vergogna, mi hanno, donato una catena e hanno ripreso il largo, mi hanno ridato vita.
Le donne di Francesca del secondo gruppo di poesie:
Viola, Luisa, Zenia, Figlia di Sant’Antonio, Elisa, Lina, Teresa, a Mamma, Polvere di Stelle, A mie Figlie.
01- Ho incontrato le mie donne. Poesie di Francesca Branca. Primo gruppo
Ho incontrato le mie donne. Son venute da lontano, hanno rotto il segreto, infranto la vergogna, mi hanno, donato una catena e hanno ripreso il largo, mi hanno ridato vita.
Le donne di Francesca del primo gruppo di poesie:
Anna, Chiara, Marianna.
Ho incontrato le mie donne. Son venute da lontano, hanno rotto il segreto, infranto la vergogna, mi hanno, donato una catena e hanno ripreso il largo, mi hanno ridato vita.
Le donne di Francesca del primo gruppo di poesie:
Anna, Chiara, Marianna.
Luna di Settembre. Un racconto di Grazia Deledda
[...] È vecchio, anche il mare, eppure non è mai apparso, fra gl'intercolunni dei pioppi del giardino, più translucido di poesia, di pace, d'illusione. Immobile, frugato solo dai raggi della luna, dà l'idea di un ghiacciaio azzurro sul quale si possa trasvolare, in un'atmosfera di freschezza e di allucinazione. Un senso di allucinazione lo prova anche il poeta: la sua stessa tristezza ha un fondo di sogno. E non lo è stata, e non lo è ancora, tutto un sogno, la sua vita? Per quanto ricordi, egli ha sempre sofferto e sempre goduto: come il mare, tempeste che sembravano implacabili, e calme simili a quella di questa notte d'incanto, hanno smosso e fermato i suoi giorni. [...]
[...] È vecchio, anche il mare, eppure non è mai apparso, fra gl'intercolunni dei pioppi del giardino, più translucido di poesia, di pace, d'illusione. Immobile, frugato solo dai raggi della luna, dà l'idea di un ghiacciaio azzurro sul quale si possa trasvolare, in un'atmosfera di freschezza e di allucinazione. Un senso di allucinazione lo prova anche il poeta: la sua stessa tristezza ha un fondo di sogno. E non lo è stata, e non lo è ancora, tutto un sogno, la sua vita? Per quanto ricordi, egli ha sempre sofferto e sempre goduto: come il mare, tempeste che sembravano implacabili, e calme simili a quella di questa notte d'incanto, hanno smosso e fermato i suoi giorni. [...]
Solo un’eco di parole. Frammenti di vita e ricordi d’infanzia di Giovanni Farina
Questi frammenti di vita e ricordi d’infanzia di Giovanni Farina, pastore e poeta, ci arrivano dal carcere di San Gimignano, dove Farina sta scontando il 39° anno di detenzione. Protagonista di una vicenda giudiziaria complessa e controversa, da anni si dedica alla scrittura. Scrive molto, Giovanni Farina, come a voler appuntare attimo dopo attimo tutto il suo tempo, quello presente e quello che è nei ricordi. E che scelga la forma del racconto o dei versi, c’è sempre molta poesia nelle sue parole. Abbiamo scelto i brani che ascolterete dall’ultimo suo libro: “Sogni lucenti tra mura bianche di cemento”, edito, per l’associazione Liberarsi, da Libri Liberi.
Questi frammenti di vita e ricordi d’infanzia di Giovanni Farina, pastore e poeta, ci arrivano dal carcere di San Gimignano, dove Farina sta scontando il 39° anno di detenzione. Protagonista di una vicenda giudiziaria complessa e controversa, da anni si dedica alla scrittura. Scrive molto, Giovanni Farina, come a voler appuntare attimo dopo attimo tutto il suo tempo, quello presente e quello che è nei ricordi. E che scelga la forma del racconto o dei versi, c’è sempre molta poesia nelle sue parole. Abbiamo scelto i brani che ascolterete dall’ultimo suo libro: “Sogni lucenti tra mura bianche di cemento”, edito, per l’associazione Liberarsi, da Libri Liberi.
Tratti, un racconto d’Estate di Cristiano Porqueddu
Aprile, tutto sommato, non fu poi un mese così crudele. Innanzitutto – sebbene il numero dei miei anni fosse ben lontano dall’essere preso sul serio – ebbi una primordiale cognizione dell’ordine caotico degli eventi che definivano la mia esistenza. Iniziai ad apprezzare le piccole occasioni e a sentir stridere in me tutto ciò che era definito determinante. E fu proprio in aprile che avvertii l’esigenza di iniziare a disegnare. [...]
Aprile, tutto sommato, non fu poi un mese così crudele. Innanzitutto – sebbene il numero dei miei anni fosse ben lontano dall’essere preso sul serio – ebbi una primordiale cognizione dell’ordine caotico degli eventi che definivano la mia esistenza. Iniziai ad apprezzare le piccole occasioni e a sentir stridere in me tutto ciò che era definito determinante. E fu proprio in aprile che avvertii l’esigenza di iniziare a disegnare. [...]
Sangue e inchiostro. Un racconto di Gianfranco Cambosu
Uscì dal portone fischiettando. Era la prima volta che gli capitava di farlo e del resto non è che avesse ricevuto indicazioni a riguardo. Quel palazzo con persiane verdi e muri scrostati, anonimo come tutti quelli intorno, era stato tutta la sua vita. Un ritrovo di famiglie numerose, con pochi soldi in tasca e con qualche figlia abbastanza intraprendente per far quadrare i conti del mese. L’avesse almeno avuta, una famiglia. A quanto ne sapeva, era stato concepito nel buio di una stanzetta piena di libri e idee confuse. [...]
Uscì dal portone fischiettando. Era la prima volta che gli capitava di farlo e del resto non è che avesse ricevuto indicazioni a riguardo. Quel palazzo con persiane verdi e muri scrostati, anonimo come tutti quelli intorno, era stato tutta la sua vita. Un ritrovo di famiglie numerose, con pochi soldi in tasca e con qualche figlia abbastanza intraprendente per far quadrare i conti del mese. L’avesse almeno avuta, una famiglia. A quanto ne sapeva, era stato concepito nel buio di una stanzetta piena di libri e idee confuse. [...]
Poesie Dedicate, di e per Franceschino Satta. In limba nuorese.
Poesie dedicate, di e per Franceschino Satta
01 A mio padre di Rosalba Satta
02 A Franzischinu Satta di Jubanne Pira
03 Rigas de oro di Mario Sanna
04 A Franzischinu Satta di Sebastiano Mariani
05 Franzischinu di Pietro Pala
06 Che respiru nodàbile 'e beranu di Giovanni Piga
07 Sas Jannas de s'anima
08 A Zubanne Battista
09 Lizos de amore
10 Un'annu 'e oro
11 Naschimentu (a Massimu)
12 Barant'annos de luche
Poesie dedicate, di e per Franceschino Satta
01 A mio padre di Rosalba Satta
02 A Franzischinu Satta di Jubanne Pira
03 Rigas de oro di Mario Sanna
04 A Franzischinu Satta di Sebastiano Mariani
05 Franzischinu di Pietro Pala
06 Che respiru nodàbile 'e beranu di Giovanni Piga
07 Sas Jannas de s'anima
08 A Zubanne Battista
09 Lizos de amore
10 Un'annu 'e oro
11 Naschimentu (a Massimu)
12 Barant'annos de luche
Altre poesie sparse di Franceschino Satta in Limba Nuorese
Altre poesie sparse di Franceschino Satta. Messa in voce di Tonino Mesina
Altre poesie sparse di Franceschino Satta. Messa in voce di Tonino Mesina
La prima sigaretta. Un racconto di Franceschino Satta
Avevo nove o dieci anni, e non pesavo più di un agnellino, quando andavo da un vicinato all'altro correndo con il cavallo di canna. Allora vivevo davvero nel mondo dei sogni. Il sole sorgeva solo per me. I nidi dell'allodola erano tutti miei. E miei erano gli anfratti e le le piccole conche de "Sa ‘e Sulis". La casa mi sembrava una prigione. I libri di scuola, poi, mi avvelenavano l'anima. Babbo e mamma continuamente mi dicevano: "Franzischi' prendi il libro! Studia!". […]
Avevo nove o dieci anni, e non pesavo più di un agnellino, quando andavo da un vicinato all'altro correndo con il cavallo di canna. Allora vivevo davvero nel mondo dei sogni. Il sole sorgeva solo per me. I nidi dell'allodola erano tutti miei. E miei erano gli anfratti e le le piccole conche de "Sa ‘e Sulis". La casa mi sembrava una prigione. I libri di scuola, poi, mi avvelenavano l'anima. Babbo e mamma continuamente mi dicevano: "Franzischi' prendi il libro! Studia!". […]
Sa prima sigaretta. Un racconto in Limba Nuorese di Franceschino Satta
La prima sigaretta. Un racconto in Limba Nuorese di Franceschino Satta
Traduzione in lingua italiana di Rosalba Satta
Messa in voce di Tonino Mesina
La prima sigaretta. Un racconto in Limba Nuorese di Franceschino Satta
Traduzione in lingua italiana di Rosalba Satta
Messa in voce di Tonino Mesina
Birroleddhu non fa a toccarlo. Un racconto di Sebastiano Mariani, da Ghirtalos
Birroleddhu ogni tanto cambia nome, sa che lui gode di grande successo e, per modestia, preferisce ogni tanto sparire e riapparire con una nuova identità, ma l’eroe è sempre lui, immortale. Era un giovane pastore allegro e spensierato, anche oltre misura. Come tutti i giovani della sua età frequentava i bar e le compagnie e la sua esuberanza lo faceva sentire più grande e più forte di quanto in realtà fosse. Camminava col petto in fuori e il suo passo era tra lo strascicato e il danzato, come camminano quelli che vorrebbero prendere a calci il mondo intero. [...]
Birroleddhu ogni tanto cambia nome, sa che lui gode di grande successo e, per modestia, preferisce ogni tanto sparire e riapparire con una nuova identità, ma l’eroe è sempre lui, immortale. Era un giovane pastore allegro e spensierato, anche oltre misura. Come tutti i giovani della sua età frequentava i bar e le compagnie e la sua esuberanza lo faceva sentire più grande e più forte di quanto in realtà fosse. Camminava col petto in fuori e il suo passo era tra lo strascicato e il danzato, come camminano quelli che vorrebbero prendere a calci il mondo intero. [...]
Poesie Sparse di Franceschino Satta
Poesie sparse di Franceschino Satta
Messa in voce di Tonino Mesina
Le poesie di questa raccolta
1- A fizu meu Paulu
2- A un’Anzelu
3- Toccheddos de coro
4- De Popinone
5- A Daniele, frore e’ beranu
6- S’Iscola
7- A Tibe o Sardigna
8- A Raffaele Calamida, suduttore ‘e sos poveros
9- Su Zurrette
Poesie sparse di Franceschino Satta
Messa in voce di Tonino Mesina
Le poesie di questa raccolta
1- A fizu meu Paulu
2- A un’Anzelu
3- Toccheddos de coro
4- De Popinone
5- A Daniele, frore e’ beranu
6- S’Iscola
7- A Tibe o Sardigna
8- A Raffaele Calamida, suduttore ‘e sos poveros
9- Su Zurrette
E ci incontriamo ancora. Poesie sparse di Rosalba Satta
E ci incontriamo ancora
Poesie sparse di Rosalba Satta Ceriale
LA CHIAVE DEL TEMPO
Stasera / ho in mano / la chiave del Tempo.
Non varcherò / la soglia del futuro:
ho voglia di sognare.
Ma nel passato torno / e vado / nei sentieri di ieri.
Tra ciuffi di storie appassite / risvegli assonnati / e speranze in frantumi / scorgo / un angolo di luce.
Mi corrono incontro / visioni / sorrisi di sguardi sereni / e voli frizzanti di idee.
La primavera dell’anima / ha gemme di incontri riusciti.
E ci incontriamo ancora
Poesie sparse di Rosalba Satta Ceriale
LA CHIAVE DEL TEMPO
Stasera / ho in mano / la chiave del Tempo.
Non varcherò / la soglia del futuro:
ho voglia di sognare.
Ma nel passato torno / e vado / nei sentieri di ieri.
Tra ciuffi di storie appassite / risvegli assonnati / e speranze in frantumi / scorgo / un angolo di luce.
Mi corrono incontro / visioni / sorrisi di sguardi sereni / e voli frizzanti di idee.
La primavera dell’anima / ha gemme di incontri riusciti.
Don Bobore e il cane, un racconto in Lingua Italiana di Franceschino Satta
Don Bobore, sempre elegante e ben rasato, era un bell'uomo. Era alto, magro ma forte e sano. Non era più un ragazzo, aveva una cinquantina d'anni, ma non dimostrava la sua età. Era celibe, benestante e molto credente. Nelle festività faceva la comunione. Tutti, in paese, ne parlavano bene. Le vedove l'adoravano: dicevamo fosse un tesoro! Una volta, nella strada, due giovani stavano per litigare malamente. […]
Don Bobore, sempre elegante e ben rasato, era un bell'uomo. Era alto, magro ma forte e sano. Non era più un ragazzo, aveva una cinquantina d'anni, ma non dimostrava la sua età. Era celibe, benestante e molto credente. Nelle festività faceva la comunione. Tutti, in paese, ne parlavano bene. Le vedove l'adoravano: dicevamo fosse un tesoro! Una volta, nella strada, due giovani stavano per litigare malamente. […]
Don Bobore e-i su cane. Un racconto in Limba Nuorese di Franceschino Satta
Don Bobore, semper bene bestìu e barbifattu, fit unu bell’omine. Artu, iscarrainzu ma forte e sanu. Non fit prus unu pizzinnu (haiat... una chimbantina ‘e annos), ma s’edade si la manteniat bene. Fit bachianu, riccu e meda cresiasticu. A sas dies notas fachiat sa comunione. Tottu sa bidda lu bantabat. Sas biùdas l’adoraban: naban chi fit unu tesoro. Una borta, in su caminu, duos zòvanos fin pro si piccare a istoccadas; che suprit issu e los piccat ambos a iscavanadas, abbirgunzindelos in mesu a canta zente b’haiat. […]
Don Bobore, semper bene bestìu e barbifattu, fit unu bell’omine. Artu, iscarrainzu ma forte e sanu. Non fit prus unu pizzinnu (haiat... una chimbantina ‘e annos), ma s’edade si la manteniat bene. Fit bachianu, riccu e meda cresiasticu. A sas dies notas fachiat sa comunione. Tottu sa bidda lu bantabat. Sas biùdas l’adoraban: naban chi fit unu tesoro. Una borta, in su caminu, duos zòvanos fin pro si piccare a istoccadas; che suprit issu e los piccat ambos a iscavanadas, abbirgunzindelos in mesu a canta zente b’haiat. […]
Vita e passione di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Dal Vangelo Secondo Marco
[...] Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, Gesù si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. [...]
Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,
egli ti preparerà la strada.
Voce di uno che grida nel deserto:
preparate la strada del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri.
[...] Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, Gesù si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. [...]
Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,
egli ti preparerà la strada.
Voce di uno che grida nel deserto:
preparate la strada del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri.
Il Naso, di Nikolaj Gogol. Dai racconti di Pietroburgo.
A San Pietroburgo. Il 25 marzo di un anno imprecisato, il barbiere Ivan Jakovlèvi, un tipico artigiano russo, ubriacone e trasandato, trova un naso umano in una pagnotta. Il barbiere riconosce subito quel naso appartenere ad un suo cliente. Se ne vuole disfare e lo getta nella acque del fiume Neva. Quel giorno stesso il maggiore Kovalèv si sveglia e non trova più il suo naso. Esce da casa e lo vede - lo stesso naso del barbiere - antropomorfizzato! L'avvicina, gli parla. Il naso gli gira le spalle e se ne va. Kovalèv raggiunge un giornale per pubblicare un annuncio. Non ci riesce e si reca dal commissario del quartiere. Non ne cava nulla anche qua. Rincasa e, mentre riflette, arriva un poliziotto che gli porge il suo naso. L'hanno ritrovato! Sì, ma è impossibile riattaccarlo. Intanto, la notizia del naso si è diffusa per l'intera città […]
A San Pietroburgo. Il 25 marzo di un anno imprecisato, il barbiere Ivan Jakovlèvi, un tipico artigiano russo, ubriacone e trasandato, trova un naso umano in una pagnotta. Il barbiere riconosce subito quel naso appartenere ad un suo cliente. Se ne vuole disfare e lo getta nella acque del fiume Neva. Quel giorno stesso il maggiore Kovalèv si sveglia e non trova più il suo naso. Esce da casa e lo vede - lo stesso naso del barbiere - antropomorfizzato! L'avvicina, gli parla. Il naso gli gira le spalle e se ne va. Kovalèv raggiunge un giornale per pubblicare un annuncio. Non ci riesce e si reca dal commissario del quartiere. Non ne cava nulla anche qua. Rincasa e, mentre riflette, arriva un poliziotto che gli porge il suo naso. L'hanno ritrovato! Sì, ma è impossibile riattaccarlo. Intanto, la notizia del naso si è diffusa per l'intera città […]
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