Olympia
Tags (categorie): Politica
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"Non è possibile che vi siano due numero uno. Alla fine, uno solo vince. E per essere quello che vince, sei disposto a dare tutto te stesso". Parole di Ayrton Senna, il leggendario asso della Formula Uno, che racchiudono l'essenza delle sfide sportive: duelli in cui primeggia chi ha più voglia, fame, di vincere. E saranno proprio questi duelli al centro della nuova stagione di "Olympia", il programma di storytelling sportivo ideato e condotto da Dario Ricci. Attraverso testimonianze inedite, audio dei protagonisti, voci d'epoca, rivivremo pagine leggendarie della storia dello sport, scandite dalle rivalità più grandi e profonde, che hanno segnato e cambiato il modo di intendere lo sport, il costume, la storia e la società.
Dai duelli sui pedali tra Coppi e Bartali a quelli all'ultima frenata (o anche oltre …) tra senna e Prost; dalle sfide a colpi di servizio e voleé tra Roger Federe e Rafa Nadal, alle sfide tra le squadre che hanno segnato la storia come l'Italia e la Germania del calcio, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti nel basket, l'Australia e gli All Blacks neozelandesi nel rugby.
Duelli, confronti, sfide. Perché – come ci ricorda Julio Velasco, il grande allenatore della pallavolo, "chi vince festeggia, chi perde spiega".
E da gennaio 2020, "Olympia guarderà verso i Giochi Olimpici di Tokyo2020 (che si svolgeranno dal 24 luglio al 9 agosto 2020), raccontando agli appassionati ascoltatori di Radio24 le grandi rivalità che hanno caratterizzato la storia delle Olimpiadi.
Anche quest'anno, ad accompagnare Dario Ricci in questo viaggio tra sport e memoria, ci sarà il prof. Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive presso l'Università Cattolica di Milano e mental coach di molti campioni dello sport italiano.
Autore: Radio 24
Ultimo episodio: 12/10/19 12:06
Aggiornamento: 04/11/23 6:43 (Aggiorna adesso)
Olympia del giorno 13/10/2019: Scalando lungo "La via meno battuta": Matteo Della Bordella
Scalare, ascendere. E raccontarsi. Sempre seguendo "La via meno battuta", che non a caso è il titolo del suo libro, appena edito da Rizzoli.
Puntata Premium di Olympia, con due ospiti d'eccezione: ritroviamo Stefano Tirelòli, docente di tecniche cComplementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni, che aiuta a penetrare nei segreti del cuor e e della mente di Matteo Della Bordella, 35 anni, varesino, presidente dei leggendari "Ragni di Lecco" e tra i più forti alpinisti italiani.
L'alpinista varesino, pochi giorni fa rientrato da una fortunata spedizione sul Bhagirathi IV, si mette a nudo a Olympia e attraverso il suo libro, raccontando la sua storia di montagna, di amicizia, di paura e di coraggio, di strade non prese, per parlarci di come affrontare la vita e del potere che abbiamo di cambiarla.
A Matteo la montagna ha dato e tolto tanto: l'ha consacrato quale uno dei più geniali alpinisti della nuova generazione, ma gli ha anche portato via il padre Fabio, insegnante e istruttore del Cai scomparso nel 2007 in un tragico incidente in parete. Eppure Matteo ha continuato ad approcciare ogni vetta a viso aperto, con spirito leale e grande rispetto per la natura, lontano da ogni retorica di conquista. Perché l'arrampicata è più di uno sport: è un inflessibile maestra di vita, un viaggio esistenziale nel quale ci si mette ogni volta alla prova tra gioie e spaventi, sfide e timori, traguardi e fallimenti, ascese e baratri. Oggi, questo giovane talento ci racconta come l'alpinismo gli abbia cambiato la vita, rendendolo l'uomo che è diventato. Le sfide affrontate in parete dalle prime scalate con il padre, appena dodicenne, alle eccezionali imprese by fair means, ovvero senza mezzi artificiali gli hanno regalato enormi soddisfazioni e impartito severe lezioni. Un percorso fatto di successi, di premi, ma anche di cadute, sconfitte e passaggi dolorosi. Esperienze che l'hanno fatto crescere, in tutti i sensi. L'hanno reso capace di affrontare i propri limiti e lottare con quelle paure che si agitano nel profondo di ciascuno di noi. Immerso in una cornice di paesaggi mozzafiato il suo racconto va ben oltre la cronaca sportiva: ci mostra come scalare significhi innanzitutto scoprire se stessi, inventare e inventarsi costantemente, imparare l'arte della perseveranza, dell'accettazione e della rinuncia. E ci ricorda quanto sia importante, in montagna come nella vita, avere il coraggio di ammettere un errore o di percorrere la via meno battuta.
"C'è una regione del mondo che incarna il senso del mio alpinismo - ci spiega Della Bordella: è la Patagonia, con le sue pareti e i suoi cieli che quasi ti chiamano, per essere scalate e ammirati. Per me è stato un colpo di fulmine, un amore a prima vista"."Eppure non sempre si riesce ad arrivare in vetta, a raggiungere l'obiettivo", ricorda Della Bordella, descrivendo proprio la sua ultima spedizione in terra di Patagonia.
"Concretezza e creatività. Sono questi i due poli attivi nella mente di campioni come Matteo - sottolinea Stefano Tirelli -: in lui si nota proprio questo continuo, dinamico equilibrio tra la sua capacità di analisi, di calcolo quasi scientifico, e l'istintiva creatività che lo porta a vedere, su una parete, linee invisibili a molti altri. Un equilibrio in continua ridefinizione, sia chiaro, ma da lì nasce il seme della vera avventura, della vera esplorazione".
La regia della puntata è a cura di Filippo Aureggi
olympia@radio24.it
Scalare, ascendere. E raccontarsi. Sempre seguendo "La via meno battuta", che non a caso è il titolo del suo libro, appena edito da Rizzoli.
Puntata Premium di Olympia, con due ospiti d'eccezione: ritroviamo Stefano Tirelòli, docente di tecniche cComplementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni, che aiuta a penetrare nei segreti del cuor e e della mente di Matteo Della Bordella, 35 anni, varesino, presidente dei leggendari "Ragni di Lecco" e tra i più forti alpinisti italiani.
L'alpinista varesino, pochi giorni fa rientrato da una fortunata spedizione sul Bhagirathi IV, si mette a nudo a Olympia e attraverso il suo libro, raccontando la sua storia di montagna, di amicizia, di paura e di coraggio, di strade non prese, per parlarci di come affrontare la vita e del potere che abbiamo di cambiarla.
A Matteo la montagna ha dato e tolto tanto: l'ha consacrato quale uno dei più geniali alpinisti della nuova generazione, ma gli ha anche portato via il padre Fabio, insegnante e istruttore del Cai scomparso nel 2007 in un tragico incidente in parete. Eppure Matteo ha continuato ad approcciare ogni vetta a viso aperto, con spirito leale e grande rispetto per la natura, lontano da ogni retorica di conquista. Perché l'arrampicata è più di uno sport: è un inflessibile maestra di vita, un viaggio esistenziale nel quale ci si mette ogni volta alla prova tra gioie e spaventi, sfide e timori, traguardi e fallimenti, ascese e baratri. Oggi, questo giovane talento ci racconta come l'alpinismo gli abbia cambiato la vita, rendendolo l'uomo che è diventato. Le sfide affrontate in parete dalle prime scalate con il padre, appena dodicenne, alle eccezionali imprese by fair means, ovvero senza mezzi artificiali gli hanno regalato enormi soddisfazioni e impartito severe lezioni. Un percorso fatto di successi, di premi, ma anche di cadute, sconfitte e passaggi dolorosi. Esperienze che l'hanno fatto crescere, in tutti i sensi. L'hanno reso capace di affrontare i propri limiti e lottare con quelle paure che si agitano nel profondo di ciascuno di noi. Immerso in una cornice di paesaggi mozzafiato il suo racconto va ben oltre la cronaca sportiva: ci mostra come scalare significhi innanzitutto scoprire se stessi, inventare e inventarsi costantemente, imparare l'arte della perseveranza, dell'accettazione e della rinuncia. E ci ricorda quanto sia importante, in montagna come nella vita, avere il coraggio di ammettere un errore o di percorrere la via meno battuta.
"C'è una regione del mondo che incarna il senso del mio alpinismo - ci spiega Della Bordella: è la Patagonia, con le sue pareti e i suoi cieli che quasi ti chiamano, per essere scalate e ammirati. Per me è stato un colpo di fulmine, un amore a prima vista"."Eppure non sempre si riesce ad arrivare in vetta, a raggiungere l'obiettivo", ricorda Della Bordella, descrivendo proprio la sua ultima spedizione in terra di Patagonia.
"Concretezza e creatività. Sono questi i due poli attivi nella mente di campioni come Matteo - sottolinea Stefano Tirelli -: in lui si nota proprio questo continuo, dinamico equilibrio tra la sua capacità di analisi, di calcolo quasi scientifico, e l'istintiva creatività che lo porta a vedere, su una parete, linee invisibili a molti altri. Un equilibrio in continua ridefinizione, sia chiaro, ma da lì nasce il seme della vera avventura, della vera esplorazione".
La regia della puntata è a cura di Filippo Aureggi
olympia@radio24.it
Olympia del giorno 06/10/2019: Un duello rosso Ferrari: Pironi vs Villeneuve a Imola 1982
Compagni di squadra, poi rivali, ora forse nemici. La parabola di Sebastian Vettel e Charles Leclerc nell'annata a due facce della Ferrari, ritornata vincente quando il Mondiale piloti era ormai già lontano, ha fatto ritornare alla mente di molti uno dei più eclatanti duelli nella storia della Formula Uno. E lì che ci porta questa settimana Olympia: a Imola, domenica 25 aprile 1982, per il Gran Premio di San Marino, quarta prova del campionato del mondo.
Ed è proprio lì che va in scena il duello più sorprendente e inatteso: le Ferrari di Gilles Villeneuve e Didier Pironi stanno dominando la corsa, ma il francese inizia a incalzare il canadese, contravvenendo alle indicazioni dei box, e lo supera proprio all'ultimo giro! Ordine d'arrivo: 1° Pironi, 2° Villeneuve. E' la fine di un'amicizia, che avrà un epilogo drammatico: due settimane dopo, a Zolder, in Belgio, Villeneuve morirà in un incidente durante le prove ufficiali; Pironi, invece subirà gravi conseguenze per un altro incidente nel gran premio di Germania, costretto quindi ad abbandonare la corsa verso un Mondiale che sembrava ormai suo. Morirà poi nel 1987, durante una gara di motonautica.
In pista quel giorno anche un giovanissimo Teo Fabi, pilota praticamente esordiente alla guida della Toleman
" Delle Ferrari vidi solo gli scarichi - ricorda oggi per Olympia - ma intorno al Gran Premio c'era tensione fin dalla vigilia, per le polemiche tra la federazione e le scuderie inglesi, che infatti non parteciparono".Un duello, quello di quel Gp di San Marino, che - al netto dei tragici eventi successivi - richiama quella attuale tra Vettel e Leclerc. "Ma ci sono differenze importanti, una su tutte - sottolinea Pino Allievi, storica firma del motorismo per La Gazzetta dello Sport e commentatore Rai, quel 25 aprile 1982 a Imola -: Vettel e Leclerc sono due colleghi; Villeneuve e Pironi erano amici, e Gilles aveva fatto molto per aiutare Didier ad ambientarsi al suo arrivo in Ferrari: visse quel sorpasso di Imola come un tradimento insanabile".
Le testimonianze di Teo Fabi e Pino Allievi, le voci dei protagonisti, gli audio che raccontano l'attuale rivalità tra Leclerc e Vettel, nel viaggio che compie oggi Olympia nel cuore dei duelli che infiammano Maranello.
olympia@radio24.it
Compagni di squadra, poi rivali, ora forse nemici. La parabola di Sebastian Vettel e Charles Leclerc nell'annata a due facce della Ferrari, ritornata vincente quando il Mondiale piloti era ormai già lontano, ha fatto ritornare alla mente di molti uno dei più eclatanti duelli nella storia della Formula Uno. E lì che ci porta questa settimana Olympia: a Imola, domenica 25 aprile 1982, per il Gran Premio di San Marino, quarta prova del campionato del mondo.
Ed è proprio lì che va in scena il duello più sorprendente e inatteso: le Ferrari di Gilles Villeneuve e Didier Pironi stanno dominando la corsa, ma il francese inizia a incalzare il canadese, contravvenendo alle indicazioni dei box, e lo supera proprio all'ultimo giro! Ordine d'arrivo: 1° Pironi, 2° Villeneuve. E' la fine di un'amicizia, che avrà un epilogo drammatico: due settimane dopo, a Zolder, in Belgio, Villeneuve morirà in un incidente durante le prove ufficiali; Pironi, invece subirà gravi conseguenze per un altro incidente nel gran premio di Germania, costretto quindi ad abbandonare la corsa verso un Mondiale che sembrava ormai suo. Morirà poi nel 1987, durante una gara di motonautica.
In pista quel giorno anche un giovanissimo Teo Fabi, pilota praticamente esordiente alla guida della Toleman
" Delle Ferrari vidi solo gli scarichi - ricorda oggi per Olympia - ma intorno al Gran Premio c'era tensione fin dalla vigilia, per le polemiche tra la federazione e le scuderie inglesi, che infatti non parteciparono".Un duello, quello di quel Gp di San Marino, che - al netto dei tragici eventi successivi - richiama quella attuale tra Vettel e Leclerc. "Ma ci sono differenze importanti, una su tutte - sottolinea Pino Allievi, storica firma del motorismo per La Gazzetta dello Sport e commentatore Rai, quel 25 aprile 1982 a Imola -: Vettel e Leclerc sono due colleghi; Villeneuve e Pironi erano amici, e Gilles aveva fatto molto per aiutare Didier ad ambientarsi al suo arrivo in Ferrari: visse quel sorpasso di Imola come un tradimento insanabile".
Le testimonianze di Teo Fabi e Pino Allievi, le voci dei protagonisti, gli audio che raccontano l'attuale rivalità tra Leclerc e Vettel, nel viaggio che compie oggi Olympia nel cuore dei duelli che infiammano Maranello.
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Olympia del giorno 29/09/2019: Il bronzo oltre il Muro: le azzurre del volley a Euro'89
Stoccarda, settembre 1989: una medaglia storica, contro le rivali di sempre, contro i pregiudizi. E' quella conquistata dall'Italia del volley. No, non quella maschile, che sotto la guida di Julio Velasco che poche settimane dopo avrebbe inaugurato, sempre agli Europei, la propria epopea vincente. Ma furono le ragazze azzurre, allenate da Sergio Guerra, guru della Teodora Ravenna e della Nazionale, a conquistare il quella Germania in cui il Muro stava per sgretolarsi un bronzo splendido e inaspettato, il primo della nostra pallavolo femminile a livello internazionale.
Le ragazze di allora si sono ritrovate in questi giorni per celebrare quella medaglia, quell'avventura, quell'amicizia. E Olympia le ospita oggi, per rivivere attraverso le loro voci una pagina indelebile, ma troppo spesso scivolata in secondo piano, del nostro sport.
"A quei tempi erano le squadre dell'Est a dominare, in particolare Urss e Germania Est, che infatti occuparono i primi due posti del medagliere - ricorda Manù Benelli, leggendaria palleggiatrice della Teodora e di quella Nazionale - ma riuscimmo a sviluppare un gioco veloce e fantasioso, che ci permetteva di competere con loro, decisamente più prestanti di noi".
Tra le giovani di quella squadra Helga Chiostrini; "Ero incuriosita e colpita, in quei giorni - ci ricorda Chiostrini - dal destino di altre giovani, quelle che si trovava a sfidare sottorete, ragazze dell'Est Europa che coglievano l'occasione di questi eventi per chiedere asilo politico in Occidente, come accadde ad alcune atlete romene proprio prima della finale per il terzo posto contro di noi".
Sabrina Bertini allora era una 20enne di grandi promesse, schiacciatrice della Teodora, che rappresentava l'asse portante della squadra azzurra. Sarà, sabrina, capace di attraversare due straordinarie generazioni del nostro volley: a quel bronzo dell'89, aggiungerà l'altro altrettanto storico di dieci anni dopo agli Europei di Roma, e la prima partecipazione olimpica a Sydney 2000. "Momenti splendidi che hanno scandito la storia della nostra pallavolo - ricorda Bertini - e oggi il testimone è una generazione e a una squadra ancor più forte, che può sognare in grande in vista di Tokyo2020".
olympia@radio24.it
Stoccarda, settembre 1989: una medaglia storica, contro le rivali di sempre, contro i pregiudizi. E' quella conquistata dall'Italia del volley. No, non quella maschile, che sotto la guida di Julio Velasco che poche settimane dopo avrebbe inaugurato, sempre agli Europei, la propria epopea vincente. Ma furono le ragazze azzurre, allenate da Sergio Guerra, guru della Teodora Ravenna e della Nazionale, a conquistare il quella Germania in cui il Muro stava per sgretolarsi un bronzo splendido e inaspettato, il primo della nostra pallavolo femminile a livello internazionale.
Le ragazze di allora si sono ritrovate in questi giorni per celebrare quella medaglia, quell'avventura, quell'amicizia. E Olympia le ospita oggi, per rivivere attraverso le loro voci una pagina indelebile, ma troppo spesso scivolata in secondo piano, del nostro sport.
"A quei tempi erano le squadre dell'Est a dominare, in particolare Urss e Germania Est, che infatti occuparono i primi due posti del medagliere - ricorda Manù Benelli, leggendaria palleggiatrice della Teodora e di quella Nazionale - ma riuscimmo a sviluppare un gioco veloce e fantasioso, che ci permetteva di competere con loro, decisamente più prestanti di noi".
Tra le giovani di quella squadra Helga Chiostrini; "Ero incuriosita e colpita, in quei giorni - ci ricorda Chiostrini - dal destino di altre giovani, quelle che si trovava a sfidare sottorete, ragazze dell'Est Europa che coglievano l'occasione di questi eventi per chiedere asilo politico in Occidente, come accadde ad alcune atlete romene proprio prima della finale per il terzo posto contro di noi".
Sabrina Bertini allora era una 20enne di grandi promesse, schiacciatrice della Teodora, che rappresentava l'asse portante della squadra azzurra. Sarà, sabrina, capace di attraversare due straordinarie generazioni del nostro volley: a quel bronzo dell'89, aggiungerà l'altro altrettanto storico di dieci anni dopo agli Europei di Roma, e la prima partecipazione olimpica a Sydney 2000. "Momenti splendidi che hanno scandito la storia della nostra pallavolo - ricorda Bertini - e oggi il testimone è una generazione e a una squadra ancor più forte, che può sognare in grande in vista di Tokyo2020".
olympia@radio24.it
Olympia del giorno 22/09/2019: Città del Messico, 12 settembre 1979: quando Mennea batté Kronos
La sfida eterna, dall'esito scontato certo, ma a volte imprevedibile, inatteso, inaspettato. E' quella dell'Uomo contro Kronos, il dio del Tempo, colui che alla fine sempre prevale, ma che sa concedere agli esseri umani parziali - e per questo ancor più straordinarie - vittorie.
Venne piegato quel giorno, quel 12 settembre 1979, Kronos, da un ragazzo arrivato da Barletta per arrivare in vetta al mondo: Pietro Mennea. Sulla pista dello stadio Olimpico di Città del Messico, quella stessa pista che 11 anni prima aveva visto il trionfo, il record mondiale e la clamorosa protesta di Tommie Smith (e john Carlos) dopo la finale dei 200 metri, il mito della nostra atletica stabilì vincendo la finale alle Universiadi messicane il nuovo primato, uno strabiliante 19"72 che verrà battuto solo 17 anni dopo, da Michael Johnson ai Giochi di Atlanta 1996.
Quella folle e straordinaria sfida a Kronos, è protagonista della puntata odierna di Olympia.
Nazzareno Rocchetti, oggi artista di fama internazionale, fu tra i primi ad essere abbracciato da Pietro, subito dopo il traguardo. Del barlettano era il massaggiatore, e aveva plasmato con le sue mani quelle gambe prodigiose
"Pietro è stato il più grande di tutti - dice oggi a Olympia - ma aveva un caratterino ... pensare che quella mattina neppure voleva gareggiare! Mi inventai uno stratagemma, per farlo salire sul bus che ci avrebbe portato allo stadio, e a quel trionfo ...".
Stabilito il primato, Mennea contribuì anche alla qualificazione alla finale della staffetta 4x100, completata da Giovanni Grazioli, Luciano Caravani e Gianfranco Lazzer, che quel pomeriggio stabilì il primato italiano, e il giorno successivo vinse l'oro alle Universiadi col nuovo record europeo.
"Vidi la gara dagli spalti - ricorda Lazzer -: esultammo tutti, rendendoci conto che quel record avrebbe resistito a lungo!
"Mennea? Era inimitabile, un suo riscaldamento era un nostro allenamento! - sottolinea Grazioli -: gia solo essergli accanto era per noi un'occasione e un esempio"
"Quando si ritirò scoprimmo un altro Pietro - ricorda Caravani -: da atleta era chiuso, teso, arcigno; poi invece si era aperto, avevamo scoperto il Mennea uomo, quello che ancora oggi ci manca dopo la morte avvenuta nel marzo del 2013, ad appena 61 anni".
La sfida eterna, dall'esito scontato certo, ma a volte imprevedibile, inatteso, inaspettato. E' quella dell'Uomo contro Kronos, il dio del Tempo, colui che alla fine sempre prevale, ma che sa concedere agli esseri umani parziali - e per questo ancor più straordinarie - vittorie.
Venne piegato quel giorno, quel 12 settembre 1979, Kronos, da un ragazzo arrivato da Barletta per arrivare in vetta al mondo: Pietro Mennea. Sulla pista dello stadio Olimpico di Città del Messico, quella stessa pista che 11 anni prima aveva visto il trionfo, il record mondiale e la clamorosa protesta di Tommie Smith (e john Carlos) dopo la finale dei 200 metri, il mito della nostra atletica stabilì vincendo la finale alle Universiadi messicane il nuovo primato, uno strabiliante 19"72 che verrà battuto solo 17 anni dopo, da Michael Johnson ai Giochi di Atlanta 1996.
Quella folle e straordinaria sfida a Kronos, è protagonista della puntata odierna di Olympia.
Nazzareno Rocchetti, oggi artista di fama internazionale, fu tra i primi ad essere abbracciato da Pietro, subito dopo il traguardo. Del barlettano era il massaggiatore, e aveva plasmato con le sue mani quelle gambe prodigiose
"Pietro è stato il più grande di tutti - dice oggi a Olympia - ma aveva un caratterino ... pensare che quella mattina neppure voleva gareggiare! Mi inventai uno stratagemma, per farlo salire sul bus che ci avrebbe portato allo stadio, e a quel trionfo ...".
Stabilito il primato, Mennea contribuì anche alla qualificazione alla finale della staffetta 4x100, completata da Giovanni Grazioli, Luciano Caravani e Gianfranco Lazzer, che quel pomeriggio stabilì il primato italiano, e il giorno successivo vinse l'oro alle Universiadi col nuovo record europeo.
"Vidi la gara dagli spalti - ricorda Lazzer -: esultammo tutti, rendendoci conto che quel record avrebbe resistito a lungo!
"Mennea? Era inimitabile, un suo riscaldamento era un nostro allenamento! - sottolinea Grazioli -: gia solo essergli accanto era per noi un'occasione e un esempio"
"Quando si ritirò scoprimmo un altro Pietro - ricorda Caravani -: da atleta era chiuso, teso, arcigno; poi invece si era aperto, avevamo scoperto il Mennea uomo, quello che ancora oggi ci manca dopo la morte avvenuta nel marzo del 2013, ad appena 61 anni".
Olympia del giorno 15/09/2019: Campioni, rivali, semidei: come duellavano i miti di Olympia?
Alle radici della sfida, del duello, dell'idea della vittoria, del confronto col l'avversario. E' questo il viaggio che faremo quest'anno a Olympia, attraverso i grandi duelli, le grandi rivalità che caratterizzano la storia dello sport. Concetto che svilupperemo nel senso più ampio, perché la sfida è anche quella contro il tempo, il cronometro, la memoria, il ricordo, il doping. Cammino impervio, insomma, quello lungo il quale ci avventuriamo, ma davvero speriamo che le sacre divinità di Olympia ci siano favorevoli. Laggiù, alle radici del mito e dei Olimpiadi delle origini e nella Grecia classica. Nostre guide - insiemGiochi ci avventuriamo quindi oggi, per capire cosa voleva dire essere rivali nellee al professor Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'università Cattolica di Milano - saranno due membri della Società Italiana di Storia dello Sport.
Gianluca Punzo, archeologo, docente di storia dell'arte e storico dello sport e Livio Toschi, architetto, storico dello sport e della lotta in particolare.
"I rivali nell'antichità? Ce n'erano ovvio! Ma l'unico problema è che...non li conosciamo!! Perché? Il motivo è semplice: gli albi d'oro degli Elleni erano molto diversi dai nostri, e ci hanno tramandato solo i nomi dei vincitori! Chi vinceva infatti era considerato un semidio, e oscurava di fatto tutti coloro che gli avevano conteso il successo, invano", spiega Punzo.
Eppure una traccia, seppure minima, di una rivalità ci è stata tramandata, e proprio dalla lotta. "E' una traccia che riguarda Milone di Crotone - sottolinea Livio Toschi - vincitore alle Olimpiadi dal 540 a.C. al 512 a.C. Di lui sappiamo anche che partecipò ad altri giochi organizzati in Grecia, come i Giochi Pitici dove vinse 6 volte, i Giochi Istmici dove vinse 10 volte e i Giochi Nemei dove fu vincitore per altre 9 volte. Quando partecipò alla sua settima Olimpiade , nella finale che doveva disputarsi con un suo concittadino di nome Timasiteo, questi, rinunciò al combattimento in quanto - si ipotizza - si trovava davanti il beniamino di sempre, che gli aveva fatto amare lo sport ed insegnato diverse mosse della disciplina. Forse siamo di fronte al primo caso nella storia delle Olimpiadi antiche in cui sappiamo il nome del secondo classificato"."L'etimologia latina della parola rivale rimanda a due contendenti che si contrappongono sulle due sponde di un fiume, per gestirne l'acqua - evidenzia Stefano Tirelli -; ma è questa un'immagine che rimanda anche all'idea di rispecchiarsi nel proprio avversario. Oggi competere non vuol dire solo vincere o perdere, ma soprattutto confrontarsi per migliorare, e migliorarsi. E la sfida è il luogo deputato a questo confronto e a questo miglioramento".
La regia della puntata è a cura di Paolo Corleoni.
Alle radici della sfida, del duello, dell'idea della vittoria, del confronto col l'avversario. E' questo il viaggio che faremo quest'anno a Olympia, attraverso i grandi duelli, le grandi rivalità che caratterizzano la storia dello sport. Concetto che svilupperemo nel senso più ampio, perché la sfida è anche quella contro il tempo, il cronometro, la memoria, il ricordo, il doping. Cammino impervio, insomma, quello lungo il quale ci avventuriamo, ma davvero speriamo che le sacre divinità di Olympia ci siano favorevoli. Laggiù, alle radici del mito e dei Olimpiadi delle origini e nella Grecia classica. Nostre guide - insiemGiochi ci avventuriamo quindi oggi, per capire cosa voleva dire essere rivali nellee al professor Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'università Cattolica di Milano - saranno due membri della Società Italiana di Storia dello Sport.
Gianluca Punzo, archeologo, docente di storia dell'arte e storico dello sport e Livio Toschi, architetto, storico dello sport e della lotta in particolare.
"I rivali nell'antichità? Ce n'erano ovvio! Ma l'unico problema è che...non li conosciamo!! Perché? Il motivo è semplice: gli albi d'oro degli Elleni erano molto diversi dai nostri, e ci hanno tramandato solo i nomi dei vincitori! Chi vinceva infatti era considerato un semidio, e oscurava di fatto tutti coloro che gli avevano conteso il successo, invano", spiega Punzo.
Eppure una traccia, seppure minima, di una rivalità ci è stata tramandata, e proprio dalla lotta. "E' una traccia che riguarda Milone di Crotone - sottolinea Livio Toschi - vincitore alle Olimpiadi dal 540 a.C. al 512 a.C. Di lui sappiamo anche che partecipò ad altri giochi organizzati in Grecia, come i Giochi Pitici dove vinse 6 volte, i Giochi Istmici dove vinse 10 volte e i Giochi Nemei dove fu vincitore per altre 9 volte. Quando partecipò alla sua settima Olimpiade , nella finale che doveva disputarsi con un suo concittadino di nome Timasiteo, questi, rinunciò al combattimento in quanto - si ipotizza - si trovava davanti il beniamino di sempre, che gli aveva fatto amare lo sport ed insegnato diverse mosse della disciplina. Forse siamo di fronte al primo caso nella storia delle Olimpiadi antiche in cui sappiamo il nome del secondo classificato"."L'etimologia latina della parola rivale rimanda a due contendenti che si contrappongono sulle due sponde di un fiume, per gestirne l'acqua - evidenzia Stefano Tirelli -; ma è questa un'immagine che rimanda anche all'idea di rispecchiarsi nel proprio avversario. Oggi competere non vuol dire solo vincere o perdere, ma soprattutto confrontarsi per migliorare, e migliorarsi. E la sfida è il luogo deputato a questo confronto e a questo miglioramento".
La regia della puntata è a cura di Paolo Corleoni.
Olympia del giorno 08/09/2019: SFOGLIANDO OLIMPIA - Il suo nome è Fausto Coppi: un coro di voci racconta il Campionissimo
A cento anni dalla nascita, i trionfi, le sconfitte, gli amori, le tragedie di Fausto Coppi raccontati con la voce dei personaggi che gli sono stati vicini: dai famigliari ai fedeli gregari, dalla dama bianca all' amico-rivale Bartali. A ognuno di loro Maurizio Crosetti, inviato di Repubblica e autore de "Il suo nome è Fausto Coppi" (Einaudi) affida un pezzo di storia e, attraverso loro, affresca l avventura sportiva e umana di un anima inquieta che ha incarnato l' essenza stessa di un Italia fiaccata dalla guerra ma in cerca di nuovo entusiasmo. Una società in vorticoso cambiamento, con le sue ipocrisie e le sue nobiltà, sfila in bianco e nero accanto alla leggendaria bicicletta dell Airone, del Campionissimo. Che avrà, infine, l ultima parola.
In occasione del centenario della nascita di Fausto Coppi, "Olympia" dedica una puntata speciale al ricordo del Campionissimo, ripercorrendone lela vita, le verità, il mito, attraverso il dialogo tra Dario Ricci e Maurizio Crosetti.
«Vicino alla mia bicicletta passano il verdegiallo dei prati e delle rocce. E sopra, il cielo azzurro: correre è come attraversare un dipinto. I compagni vanno in cerca delle fontane di pietra per catturare l acqua nelle borracce, poi la corsa precipita e non c è più tempo nemmeno per bere. Guizzano trote d argento nei torrenti, ma tanto chi le vede. Sulla punta delle montagne la gente è un pizzo, un merletto».
"E' stata una grande emozione per me raccontare Coppi - spiega Crosetti -; soprattutto provare a farlo in un modo diverso, tangente, nuovo, facendo parlare le persone che lo hanno conosciuto e circondato. Ecco quindi che attraverso questo coro si crea un poliedro che ci restituisce un'immagine forse nuova del Campionissimo".
"Il titolo del libro - ricorda ancora Crosetti - riecheggia ovviamente la celebre frase con cui il radiocronista Claudio Ferretti aprì il suo collegamento durante la leggendaria tappa Cuneo-Pinerolo del giro 1949, vinta da Coppi con quasi 12 minuti di vantaggio su Bartali. Una frase che è diventata leggenda, e che da allora accompagna il viaggio di Fausto verso il mito".La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella.
olympia@radio24.it
A cento anni dalla nascita, i trionfi, le sconfitte, gli amori, le tragedie di Fausto Coppi raccontati con la voce dei personaggi che gli sono stati vicini: dai famigliari ai fedeli gregari, dalla dama bianca all' amico-rivale Bartali. A ognuno di loro Maurizio Crosetti, inviato di Repubblica e autore de "Il suo nome è Fausto Coppi" (Einaudi) affida un pezzo di storia e, attraverso loro, affresca l avventura sportiva e umana di un anima inquieta che ha incarnato l' essenza stessa di un Italia fiaccata dalla guerra ma in cerca di nuovo entusiasmo. Una società in vorticoso cambiamento, con le sue ipocrisie e le sue nobiltà, sfila in bianco e nero accanto alla leggendaria bicicletta dell Airone, del Campionissimo. Che avrà, infine, l ultima parola.
In occasione del centenario della nascita di Fausto Coppi, "Olympia" dedica una puntata speciale al ricordo del Campionissimo, ripercorrendone lela vita, le verità, il mito, attraverso il dialogo tra Dario Ricci e Maurizio Crosetti.
«Vicino alla mia bicicletta passano il verdegiallo dei prati e delle rocce. E sopra, il cielo azzurro: correre è come attraversare un dipinto. I compagni vanno in cerca delle fontane di pietra per catturare l acqua nelle borracce, poi la corsa precipita e non c è più tempo nemmeno per bere. Guizzano trote d argento nei torrenti, ma tanto chi le vede. Sulla punta delle montagne la gente è un pizzo, un merletto».
"E' stata una grande emozione per me raccontare Coppi - spiega Crosetti -; soprattutto provare a farlo in un modo diverso, tangente, nuovo, facendo parlare le persone che lo hanno conosciuto e circondato. Ecco quindi che attraverso questo coro si crea un poliedro che ci restituisce un'immagine forse nuova del Campionissimo".
"Il titolo del libro - ricorda ancora Crosetti - riecheggia ovviamente la celebre frase con cui il radiocronista Claudio Ferretti aprì il suo collegamento durante la leggendaria tappa Cuneo-Pinerolo del giro 1949, vinta da Coppi con quasi 12 minuti di vantaggio su Bartali. Una frase che è diventata leggenda, e che da allora accompagna il viaggio di Fausto verso il mito".La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella.
olympia@radio24.it
Olympia del giorno 01/09/2019: SFOGLIANDO OLIMPIA - Achille Varzi, l'ombra oscura di NuvolariAchille Varzi, l'ombra oscura di Nuvolari
Con la sua guida, il suo talento, la sua rivalità con Nuvolari e anche la sua vita misteriosa, infiammò il mondo dell'automobilismo negli Anni Trenta, fino alla tragica morte, in un banale incidente in pista, il 1 luglio 1948, ad appena 44 anni. Oggi a Sfogliando Olympia riviviamo miti e verità intorno ad Achille Varzi, fenomenale pilota che vinse tutti nel periodo tra le due guerre, segnando un'epoca del motorismo internazionale.
Lo facciamo sfogliando il volume Achille Varzi, l'ombra oscura di Nuvolari, scritto da Giorgio Terruzzi e pubblicato da Giorgio Nada editore, testo è di certo questa la più competa biografia dedicata ad Achille Varzi, ossia al pilota che di Nuvolari.
è stato tra i più fieri antagonisti e di certo quello che con lui divise gli italiani in due fazioni di passione irriducibile. Non a caso il volume, fa riferimento nel titolo a tutti e due gli indimenticabili personaggi dell automobilismo nell epoca d oro fra le due guerre mondiali del Novecento. Il testo riprende quello di un altro piccolo bestseller della Giorgio Nada Editore, Una curva cieca, sempre curato di Giorgio Terruzzi, pubblicato nel 1991 e ripresentato in versione largamente ampliata con oltre 200 fotografie e vasti apparati di documentazione. Progetto e cura dell opera sono ancora una volta di Gianni Cancellieri mentre a Cesare De Agostini è affidata la prefazione.
"La vita di Varzi è stato a lungo avvolta nel mistero - ci racconta Giorgio Terruzzi -; o meglio, misterioso è stato a lungo il periodo più buio del campione nato a Galliate, nel Novarese, quando rischiò di perdersi per un ammore assoluto, travolgente e tragico...."
"il rapporto con Nuvolari? Tra i due ci fu rivalità, ma anche rispetto e stima reciproca - spiega ancora Terruzzi -. entrambi erano consapevoli che, pur tenendo contro della differenza di età (nuvolari era più anziano di 12 anni, ndr), le fortune dell'uno erano strettamente legate a quelle dell'altro, come del resto sempre accaduto tra i grandi rivali nello sport".
La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
olympia@radio24.it
Con la sua guida, il suo talento, la sua rivalità con Nuvolari e anche la sua vita misteriosa, infiammò il mondo dell'automobilismo negli Anni Trenta, fino alla tragica morte, in un banale incidente in pista, il 1 luglio 1948, ad appena 44 anni. Oggi a Sfogliando Olympia riviviamo miti e verità intorno ad Achille Varzi, fenomenale pilota che vinse tutti nel periodo tra le due guerre, segnando un'epoca del motorismo internazionale.
Lo facciamo sfogliando il volume Achille Varzi, l'ombra oscura di Nuvolari, scritto da Giorgio Terruzzi e pubblicato da Giorgio Nada editore, testo è di certo questa la più competa biografia dedicata ad Achille Varzi, ossia al pilota che di Nuvolari.
è stato tra i più fieri antagonisti e di certo quello che con lui divise gli italiani in due fazioni di passione irriducibile. Non a caso il volume, fa riferimento nel titolo a tutti e due gli indimenticabili personaggi dell automobilismo nell epoca d oro fra le due guerre mondiali del Novecento. Il testo riprende quello di un altro piccolo bestseller della Giorgio Nada Editore, Una curva cieca, sempre curato di Giorgio Terruzzi, pubblicato nel 1991 e ripresentato in versione largamente ampliata con oltre 200 fotografie e vasti apparati di documentazione. Progetto e cura dell opera sono ancora una volta di Gianni Cancellieri mentre a Cesare De Agostini è affidata la prefazione.
"La vita di Varzi è stato a lungo avvolta nel mistero - ci racconta Giorgio Terruzzi -; o meglio, misterioso è stato a lungo il periodo più buio del campione nato a Galliate, nel Novarese, quando rischiò di perdersi per un ammore assoluto, travolgente e tragico...."
"il rapporto con Nuvolari? Tra i due ci fu rivalità, ma anche rispetto e stima reciproca - spiega ancora Terruzzi -. entrambi erano consapevoli che, pur tenendo contro della differenza di età (nuvolari era più anziano di 12 anni, ndr), le fortune dell'uno erano strettamente legate a quelle dell'altro, come del resto sempre accaduto tra i grandi rivali nello sport".
La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
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Olympia del giorno 25/08/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - Viaggio nelle curve degli stadi: Ultras, gli altri protagonisti del calcio
Il fenomeno Ultras ha radici insospettate, se pensiamo che nel 59 dopo Cristo feroci scontri tra pompeiani e nocerini durante uno spettacolo di gladiatori - come riporta Tacito, il miglior cronista dell'epoca - portarono alla chiusura (per dieci anni, sanzione poi ridotta a due) dell'anfiteatro di Pompei. Con "Ultras, gli altri protagonisti del calcio" (Melteni editore) Sebastien Louis, studioso di storia contemporanea presso l'Univeristà di Perpignan (e a sua volta reduce da una militanza di diversi anni come ultrà del Marsiglia!), ci regala una gran bella disamina della nascita e dello sviluppo del tifo - quello organizzato in particolare - nel calcio italiano dell'era moderna, partendo dall'Ordine del Galletto, gruppo di tifosi del Bari costituitosi nel 1928, fino ad arrivare alla tragedia di Raciti ed all'ultima morte per tifo, nel dicembre scorso prima di Inter-Napoli.
"È un errore equiparare gli hooligans e gli ultras - sottolinea Sebastien Louis -: i primi hanno nella violenza il loro unico scopo; i secondi hanno invece un legame intenso, viscerale con la squadra, ma contribuiscono anche a creare quella che l'unicità dell'atmosfera dello stadio, il vero motivo per cui vale la pena vedere ancora il calcio dal vivo".
"La storia del calcio italiano è purtroppo segnata dal tifo violento - evidenzia Louis - ma il vero scarto c'è stato quando questa violenza ha cominciato a essere presente di per sé, indipendentemente dal risultato della partita. Eppure migliorare si deve, e ancora si può".
La regia della puntata è a cura di Filippo Aureggi
olympia@radio24.it
Il fenomeno Ultras ha radici insospettate, se pensiamo che nel 59 dopo Cristo feroci scontri tra pompeiani e nocerini durante uno spettacolo di gladiatori - come riporta Tacito, il miglior cronista dell'epoca - portarono alla chiusura (per dieci anni, sanzione poi ridotta a due) dell'anfiteatro di Pompei. Con "Ultras, gli altri protagonisti del calcio" (Melteni editore) Sebastien Louis, studioso di storia contemporanea presso l'Univeristà di Perpignan (e a sua volta reduce da una militanza di diversi anni come ultrà del Marsiglia!), ci regala una gran bella disamina della nascita e dello sviluppo del tifo - quello organizzato in particolare - nel calcio italiano dell'era moderna, partendo dall'Ordine del Galletto, gruppo di tifosi del Bari costituitosi nel 1928, fino ad arrivare alla tragedia di Raciti ed all'ultima morte per tifo, nel dicembre scorso prima di Inter-Napoli.
"È un errore equiparare gli hooligans e gli ultras - sottolinea Sebastien Louis -: i primi hanno nella violenza il loro unico scopo; i secondi hanno invece un legame intenso, viscerale con la squadra, ma contribuiscono anche a creare quella che l'unicità dell'atmosfera dello stadio, il vero motivo per cui vale la pena vedere ancora il calcio dal vivo".
"La storia del calcio italiano è purtroppo segnata dal tifo violento - evidenzia Louis - ma il vero scarto c'è stato quando questa violenza ha cominciato a essere presente di per sé, indipendentemente dal risultato della partita. Eppure migliorare si deve, e ancora si può".
La regia della puntata è a cura di Filippo Aureggi
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Olympia del giorno 18/08/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - Save the Nature, Sport for Nature: con Stefano Tirelli in viaggio tra sport e Natura
Puntata speciale, quella ferragostana di Sfogliando Olympia: ritroviamo Stefano Tirelli, compagno di viaggio abituale a Olympia, per fare insieme il punto sul progetto "Sport for Nature", che mette lo sport al servizio del nostro pianeta, sensibilizzando le nuove generazioni al cambiamento climatico. Il progetto, nato da un idea dello Studio del Professor Tirelli docente di tecniche complementari sportive alla Cattolica del Sacro Cuore di Milano e in partnership con Sky Sport, ha dato vita a una serie di documentari: dopo il primo alle isole Svalbard, in Norvegia, nell'autunno 2019, lo scorso giugno il team di Sport for Nature ha visitato l'Islanda, uno dei luoghi al mondo dove maggiormente si ha evidenza degli effetti negativi che il global warming e l inquinamento. "Prossima meta? L'Himalaya - sottolinea Stefano Tirelli -, per raccontare la sofferenza dei grandi Ottomila della Terra, minacciati dai cambiamenti climatici, ma anche per portare la speranza e le strategie che ci permetteranno di cambiare i nostri comportamenti e ridisegnare il nostro futuro".
La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
olympia@radio24.it
Puntata speciale, quella ferragostana di Sfogliando Olympia: ritroviamo Stefano Tirelli, compagno di viaggio abituale a Olympia, per fare insieme il punto sul progetto "Sport for Nature", che mette lo sport al servizio del nostro pianeta, sensibilizzando le nuove generazioni al cambiamento climatico. Il progetto, nato da un idea dello Studio del Professor Tirelli docente di tecniche complementari sportive alla Cattolica del Sacro Cuore di Milano e in partnership con Sky Sport, ha dato vita a una serie di documentari: dopo il primo alle isole Svalbard, in Norvegia, nell'autunno 2019, lo scorso giugno il team di Sport for Nature ha visitato l'Islanda, uno dei luoghi al mondo dove maggiormente si ha evidenza degli effetti negativi che il global warming e l inquinamento. "Prossima meta? L'Himalaya - sottolinea Stefano Tirelli -, per raccontare la sofferenza dei grandi Ottomila della Terra, minacciati dai cambiamenti climatici, ma anche per portare la speranza e le strategie che ci permetteranno di cambiare i nostri comportamenti e ridisegnare il nostro futuro".
La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
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Olympia del giorno 11/08/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - "Chiamatemi ancora Anza": il ricordo di Sara Anzanello, la regina del volley
Le avrebbe abbracciate e applaudite una per una, le ragazze della Nazionale di volley che recentemente hanno conquistato a Catania il diritto di partecipare ai prossimi Giochi olimpici di Tokyo 2020; del resto, Sara Anzanello, per quelle stesse ragazze aveva tifato con tutte le forze che le rimanevano già nel settembre di un anno fa, quando sempre in Giappone le azzurre avevano conquistato uno splendido argento mondiale. Di lì a poche settimane, nell'ottobre del 2018, ad appena 38 anni, Sara Anzanello - che con quella maglia azzurra addosso aveva vinto un titolo mondiale, a Berlino nel 2002 - ci ha lasciato, a causa di un linfoma, lei che cinque anni prima aveva subìto anche un difficile trapianto del fegato.
Una vita, un'odissea, una carriera, ma anche tante risate ed emozioni, che oggi sono diventate un libro: "Chiamatemi ancora Anza", pubblicato da Santelli editore, che oggi sfogliamo in compagnia di due persone che hanno avuto un ruolo determinante nella vita di Sara, e anche nella realizzazione del testo, in gran parte scritto dalla stessa campionessa: Walter Naletto, fidanzato di sara, e Raffaella Calloni, che con Sara ha condiviso ruolo (centrale), tante maglie (compresa quella azzurra) e un'amicizia profonda e sincera.
"Sara non era solo un'amica, ma anche una giocatrice eccezionale - sottolinea Raffaella -, sotto il profilo tecnico ed emotivo; non ha caso è spesso stata il capitano delle squadre in cui ha militato, proprio perché riusciva a sentire l'umore, le sensazioni dello spogliatoio, di ogni singola compagna, e a esaltarle con spirito di gruppo e voglia di vincere".
"Chiamatemi ancora Anza" racconta tutta la vita di sara attraverso flash back tra passato e presente - ricorda Walter -: è molto emozionante scoprire tutti i retroscena, i sacrifici, le difficoltà che un'atleta deve superare per arrivare a poter fare della propria passione anche la propria professione. Il libro ci racconta anche questo, oltre a essere una straordinaria testimonianza della forza e dell'amore della vita che ha animato sara fino all'ultimo istannte".
La regia della puntata è a cura di Roberta Frisani
olympia@radio24.it
Le avrebbe abbracciate e applaudite una per una, le ragazze della Nazionale di volley che recentemente hanno conquistato a Catania il diritto di partecipare ai prossimi Giochi olimpici di Tokyo 2020; del resto, Sara Anzanello, per quelle stesse ragazze aveva tifato con tutte le forze che le rimanevano già nel settembre di un anno fa, quando sempre in Giappone le azzurre avevano conquistato uno splendido argento mondiale. Di lì a poche settimane, nell'ottobre del 2018, ad appena 38 anni, Sara Anzanello - che con quella maglia azzurra addosso aveva vinto un titolo mondiale, a Berlino nel 2002 - ci ha lasciato, a causa di un linfoma, lei che cinque anni prima aveva subìto anche un difficile trapianto del fegato.
Una vita, un'odissea, una carriera, ma anche tante risate ed emozioni, che oggi sono diventate un libro: "Chiamatemi ancora Anza", pubblicato da Santelli editore, che oggi sfogliamo in compagnia di due persone che hanno avuto un ruolo determinante nella vita di Sara, e anche nella realizzazione del testo, in gran parte scritto dalla stessa campionessa: Walter Naletto, fidanzato di sara, e Raffaella Calloni, che con Sara ha condiviso ruolo (centrale), tante maglie (compresa quella azzurra) e un'amicizia profonda e sincera.
"Sara non era solo un'amica, ma anche una giocatrice eccezionale - sottolinea Raffaella -, sotto il profilo tecnico ed emotivo; non ha caso è spesso stata il capitano delle squadre in cui ha militato, proprio perché riusciva a sentire l'umore, le sensazioni dello spogliatoio, di ogni singola compagna, e a esaltarle con spirito di gruppo e voglia di vincere".
"Chiamatemi ancora Anza" racconta tutta la vita di sara attraverso flash back tra passato e presente - ricorda Walter -: è molto emozionante scoprire tutti i retroscena, i sacrifici, le difficoltà che un'atleta deve superare per arrivare a poter fare della propria passione anche la propria professione. Il libro ci racconta anche questo, oltre a essere una straordinaria testimonianza della forza e dell'amore della vita che ha animato sara fino all'ultimo istannte".
La regia della puntata è a cura di Roberta Frisani
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Olympia del giorno 04/08/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - Il presidente è da Pallone d'Oro: sulle tracce di George Weah
E' stato il primo Pallone d'Oro africano, e uno dei centravanti simbolo del calcio mondiale. Ma davvero sarebbe riduttivo confinare la personalità di George Weah negli stretti panni di un idolo del football mondiale. Basti pensare che quello stesso campione è oggi presidente del suo Paese, la Liberia, una delle Nazioni più povere del pianeta.
"George Weah: Run African Star" questo il titolo del saggio di Davide Ravan (pubblicato da Epoké Edizioni) che infatti non è semplicemente la biografia di un campione, George Weah, ma è una piccola ed esemplare biografia di un Continente, anzi, di due Continenti che videro quel campione prima scalzo e poi con i tacchetti.
Con un linguaggio accessibile e vivace, Ravan ci racconta in parallelo la storia della Liberia e quella di Weah. Storie di povertà e violenza, ma anche di riscatto in cui i destini del campione si intrecciano a più riprese con quelle del proprio Paese di cui oggi è diventato guida politica ed emotiva, simbolo internazionale riconosciuto a livello globale.
La storia di un campione passato dagli slums al Pallone d'oro, dal calcio alla politica. La storia di un Paese, la Liberia, lacerato da guerra e povertà, che oggi ha fame di riscatto, e che è protagonista dell'appuntamento odierno di Sfogliando Olympia.
"E' un libro che nasce dalla mia curiosità e passione per il calcio - spiega Ravan - e dalla voglia di raccontare una stella del football rispetto alla quale non era ancora stato scritto nulla. Ma, passo dopo passo, è nata anche la curiosità di raccontare pure la travagliata storia della Liberia"Davide Ravan, ventisette anni, dal 2016 svolge la professione di libraio presso la libreria a cui lui stesso ha dato vita. Da qualche mese ha deciso di abbandonare la grande città per trasferirsi nella profonda provincia alessandrina, a Gavi, dove ha portato con sé anche la libreria AUT. George Weah: Run African Star è la sua prima pubblicazione.
olympia@radio24.it
La regia della puntata è a cura di Paolo Corleoni
E' stato il primo Pallone d'Oro africano, e uno dei centravanti simbolo del calcio mondiale. Ma davvero sarebbe riduttivo confinare la personalità di George Weah negli stretti panni di un idolo del football mondiale. Basti pensare che quello stesso campione è oggi presidente del suo Paese, la Liberia, una delle Nazioni più povere del pianeta.
"George Weah: Run African Star" questo il titolo del saggio di Davide Ravan (pubblicato da Epoké Edizioni) che infatti non è semplicemente la biografia di un campione, George Weah, ma è una piccola ed esemplare biografia di un Continente, anzi, di due Continenti che videro quel campione prima scalzo e poi con i tacchetti.
Con un linguaggio accessibile e vivace, Ravan ci racconta in parallelo la storia della Liberia e quella di Weah. Storie di povertà e violenza, ma anche di riscatto in cui i destini del campione si intrecciano a più riprese con quelle del proprio Paese di cui oggi è diventato guida politica ed emotiva, simbolo internazionale riconosciuto a livello globale.
La storia di un campione passato dagli slums al Pallone d'oro, dal calcio alla politica. La storia di un Paese, la Liberia, lacerato da guerra e povertà, che oggi ha fame di riscatto, e che è protagonista dell'appuntamento odierno di Sfogliando Olympia.
"E' un libro che nasce dalla mia curiosità e passione per il calcio - spiega Ravan - e dalla voglia di raccontare una stella del football rispetto alla quale non era ancora stato scritto nulla. Ma, passo dopo passo, è nata anche la curiosità di raccontare pure la travagliata storia della Liberia"Davide Ravan, ventisette anni, dal 2016 svolge la professione di libraio presso la libreria a cui lui stesso ha dato vita. Da qualche mese ha deciso di abbandonare la grande città per trasferirsi nella profonda provincia alessandrina, a Gavi, dove ha portato con sé anche la libreria AUT. George Weah: Run African Star è la sua prima pubblicazione.
olympia@radio24.it
La regia della puntata è a cura di Paolo Corleoni
Olympia del giorno 28/07/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - Gigi Datome: quando tutte le storie vanno a canestro!
Il primo libro di uno dei giocatori-simbolo del basket italiano nel mondo.
Orgogliosamente sardo, capitano della Nazionale e uomo-simbolo della nostra pallacanestro, attivissimo sui social, una personalità rara dentro e fuori dal campo, Gigi Datome guarda il mondo dall'alto dei suoi 2.03 metri e della sua inconfondibile barba.
Nella sua carriera cestistica ha sfiorato uno storico scudetto a Roma; si è conquistato un posto sui parquet della NBA, arrivando a giocarsi i playoff contro i Cavs di LeBron James; ha alzato il più prestigioso trofeo europeo vincendo l'Eurolega con la corazzata Fenerbahçe. Carismatico senza essere ingombrante, non schivo ma determinato nello scegliere sempre le parole giuste.
Come quelle che mette in fila in "Gioco come sono", edito da Rizzoli e scritto a quattro mani con Francesco Carotti: un autoritratto ironico, acuto, mai banale, articolato attorno a dieci oggetti per lui significativi – e introdotto dalla prefazione di coach Obradović, il suo allenatore a Istanbul: dalla sua chitarra alla lavagnetta bianca ("quella dove il pennarello disegna gli schemi di gioco"), dalle sue amate scarpe gialle al portachiavi africano regalatogli a quindici anni dalla zia, dalla canotta della Santa Croce, la prima squadra in cui abbia giocato, al poster di Allen Iverson devotamente appeso nella stanzetta di bambino. Ciascun oggetto evoca un pezzo della strada percorsa da Gigi, ispira racconti, ricordi, aneddoti e soprattutto un purissimo, sconfinato amore per la pallacanestro.
"L'Nba? Una grande esperienza, ma anche sofferta - racconta il capitano di quella Nazionale azzurra che a settembre andrà a caccia di gloria ai campionati del mondo in Cina - perché dopo le amarezze di Detroit, ho dovuto lottare per conquistarmi lo spazio che desideravo a Boston. Ma quell'anno e mezzo Oltreoceano mi ha fatto crescere, come giocatore e come uomo", spiega Datome
/ 24web/ / we/ 190728 SF OLIMPYA - DATOME.mp3
Francesco Carotti, oltre che giornalista e amico di Gigi Datome, è anche direttore operativo della Virtus Roma di basket, la squadra con cui Datome sfiorò lo scudetto prima di volare in America. "La nostra amicizia e il nostro rapporto di lavoro si intrecciarono proprio in quell'estate in cui Gigi decise di rimanere a Roma in cerca di riscatto, accettando una significativa riduzione dello stipendio - ricorda Carotti - e portandoci poi a un passo dal tricolore..."
olympia@radio24.it
La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
Il primo libro di uno dei giocatori-simbolo del basket italiano nel mondo.
Orgogliosamente sardo, capitano della Nazionale e uomo-simbolo della nostra pallacanestro, attivissimo sui social, una personalità rara dentro e fuori dal campo, Gigi Datome guarda il mondo dall'alto dei suoi 2.03 metri e della sua inconfondibile barba.
Nella sua carriera cestistica ha sfiorato uno storico scudetto a Roma; si è conquistato un posto sui parquet della NBA, arrivando a giocarsi i playoff contro i Cavs di LeBron James; ha alzato il più prestigioso trofeo europeo vincendo l'Eurolega con la corazzata Fenerbahçe. Carismatico senza essere ingombrante, non schivo ma determinato nello scegliere sempre le parole giuste.
Come quelle che mette in fila in "Gioco come sono", edito da Rizzoli e scritto a quattro mani con Francesco Carotti: un autoritratto ironico, acuto, mai banale, articolato attorno a dieci oggetti per lui significativi – e introdotto dalla prefazione di coach Obradović, il suo allenatore a Istanbul: dalla sua chitarra alla lavagnetta bianca ("quella dove il pennarello disegna gli schemi di gioco"), dalle sue amate scarpe gialle al portachiavi africano regalatogli a quindici anni dalla zia, dalla canotta della Santa Croce, la prima squadra in cui abbia giocato, al poster di Allen Iverson devotamente appeso nella stanzetta di bambino. Ciascun oggetto evoca un pezzo della strada percorsa da Gigi, ispira racconti, ricordi, aneddoti e soprattutto un purissimo, sconfinato amore per la pallacanestro.
"L'Nba? Una grande esperienza, ma anche sofferta - racconta il capitano di quella Nazionale azzurra che a settembre andrà a caccia di gloria ai campionati del mondo in Cina - perché dopo le amarezze di Detroit, ho dovuto lottare per conquistarmi lo spazio che desideravo a Boston. Ma quell'anno e mezzo Oltreoceano mi ha fatto crescere, come giocatore e come uomo", spiega Datome
/ 24web/ / we/ 190728 SF OLIMPYA - DATOME.mp3
Francesco Carotti, oltre che giornalista e amico di Gigi Datome, è anche direttore operativo della Virtus Roma di basket, la squadra con cui Datome sfiorò lo scudetto prima di volare in America. "La nostra amicizia e il nostro rapporto di lavoro si intrecciarono proprio in quell'estate in cui Gigi decise di rimanere a Roma in cerca di riscatto, accettando una significativa riduzione dello stipendio - ricorda Carotti - e portandoci poi a un passo dal tricolore..."
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La regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
Olympia del giorno 21/07/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - L'epopea delle "Invincibili": Il Dream Team del fioretto femminile
Una storia ricca di trionfi che ancora non finisce di arricchirsi di nuove pagine. Perché fra tantissimi alti e pochi quanto fisiologici bassi che significa comunque salire sul podio e andare a medaglia il fioretto femminile italiano è sempre al vertice Mondiale e a ogni grande evento si rivela preziosa miniera d oro per la scherma azzurra. E non a caso, addetti ai lavori o semplici appassionati di scherma, quando parlano delle fiorettiste il primo nome che viene in mente è quello di Dream Team.
Generazione dopo generazione, cambiano le interpreti ma non i risultati: trionfi su trionfi che rivivono nelle pagine del libro "Invincibili", scritto da Gianmario Bonzi, giornalista e voce di Eurosport per sport invernali e scherma. L'agile e scorrevole volume (234 pp) edito da Infinito Edizioni ci porta dentro la storia di questi successi non solo attraverso la ricostruzione delle gare ricorrendo alle cronache giornalistiche dell'epoca, ma anche e soprattutto con aneddoti e retroscena gustosi raccontati dalle stesse protagoniste di quei momenti, e che oggi l'autore e un'ospite d'eccezione - Diana Bianchedi, una delle stelle più scintillanti di questa epopea - rivivono a Sfogliando Olympia.
"Il 1992 segna simbolicamente l'inizio della dinastia vincente - sottolinea Bonzi - ma le vittorie erano già iniziate ad arrivare qualche anno prima. Nel testo ricostruiamo questa parabola attraverso le voci delle protagoniste e tanti piccoli e grandi aneddoti inediti, che svelano segreti e motivi di questa epopea d'oro"
"Il nostro segreto? Competitività, continuo confronto tra atlete esperte e giovani, diversità di stili e di scuole", spiega Diana Bianchedi
Forse non è un caso che il primo, vero Dream Team della scherma sia arrivato a compimento proprio in quell edizione Olimpica di Barcellona 1992 in cui sul parquet di basket furoreggiava il più grande concentrato di talento cestistico mai visto prima di allora all opera (quello di nomi come Michael Jordan, Magic Johnson e Larry Bird). C è l oro individuale di Giovanna Trillini, ammantato di mito perché la jesina quella gara la tira con un tutore al ginocchio infortunato, c è la griffe a squadre con Diana Bianchedi, Francesca Bortolozzi, Margherita Zalaffi e Dorina Vaccaroni.
È quello il caposaldo da cui inizia l epopea vincente di una squadra che nelle successive Olimpiadi è stata fermata solo dalla rotazione delle armi (Atene 2004 e Rio 2016) che ha eliminato dal programma la prova a squadre ed è scesa dal gradino più alto del podio solo a Pechino 2008, quando comunque chiuse al terzo posto. In mezzo i trionfi di Atlanta, Sidney e Londra, dove arrivò un altro risultato passato alla storia, ovvero il podio tutto azzurro firmato da Elisa Di Francisca, Arianna Errigo e Valentina Vezzali.
E non manca anche l'omaggio a chi, con le proprie medaglie d oro Olimpiche, ha precorso i tempi: e il pensiero non può che correre a Irene Camber, inatteso oro di Helsinki 1952, e ad Antonella Ragno, in trionfo a Monaco 20 anni dopo.
olympia@radio24.it
La regia della puntata è a cura di Gianmarco Ferronato
Una storia ricca di trionfi che ancora non finisce di arricchirsi di nuove pagine. Perché fra tantissimi alti e pochi quanto fisiologici bassi che significa comunque salire sul podio e andare a medaglia il fioretto femminile italiano è sempre al vertice Mondiale e a ogni grande evento si rivela preziosa miniera d oro per la scherma azzurra. E non a caso, addetti ai lavori o semplici appassionati di scherma, quando parlano delle fiorettiste il primo nome che viene in mente è quello di Dream Team.
Generazione dopo generazione, cambiano le interpreti ma non i risultati: trionfi su trionfi che rivivono nelle pagine del libro "Invincibili", scritto da Gianmario Bonzi, giornalista e voce di Eurosport per sport invernali e scherma. L'agile e scorrevole volume (234 pp) edito da Infinito Edizioni ci porta dentro la storia di questi successi non solo attraverso la ricostruzione delle gare ricorrendo alle cronache giornalistiche dell'epoca, ma anche e soprattutto con aneddoti e retroscena gustosi raccontati dalle stesse protagoniste di quei momenti, e che oggi l'autore e un'ospite d'eccezione - Diana Bianchedi, una delle stelle più scintillanti di questa epopea - rivivono a Sfogliando Olympia.
"Il 1992 segna simbolicamente l'inizio della dinastia vincente - sottolinea Bonzi - ma le vittorie erano già iniziate ad arrivare qualche anno prima. Nel testo ricostruiamo questa parabola attraverso le voci delle protagoniste e tanti piccoli e grandi aneddoti inediti, che svelano segreti e motivi di questa epopea d'oro"
"Il nostro segreto? Competitività, continuo confronto tra atlete esperte e giovani, diversità di stili e di scuole", spiega Diana Bianchedi
Forse non è un caso che il primo, vero Dream Team della scherma sia arrivato a compimento proprio in quell edizione Olimpica di Barcellona 1992 in cui sul parquet di basket furoreggiava il più grande concentrato di talento cestistico mai visto prima di allora all opera (quello di nomi come Michael Jordan, Magic Johnson e Larry Bird). C è l oro individuale di Giovanna Trillini, ammantato di mito perché la jesina quella gara la tira con un tutore al ginocchio infortunato, c è la griffe a squadre con Diana Bianchedi, Francesca Bortolozzi, Margherita Zalaffi e Dorina Vaccaroni.
È quello il caposaldo da cui inizia l epopea vincente di una squadra che nelle successive Olimpiadi è stata fermata solo dalla rotazione delle armi (Atene 2004 e Rio 2016) che ha eliminato dal programma la prova a squadre ed è scesa dal gradino più alto del podio solo a Pechino 2008, quando comunque chiuse al terzo posto. In mezzo i trionfi di Atlanta, Sidney e Londra, dove arrivò un altro risultato passato alla storia, ovvero il podio tutto azzurro firmato da Elisa Di Francisca, Arianna Errigo e Valentina Vezzali.
E non manca anche l'omaggio a chi, con le proprie medaglie d oro Olimpiche, ha precorso i tempi: e il pensiero non può che correre a Irene Camber, inatteso oro di Helsinki 1952, e ad Antonella Ragno, in trionfo a Monaco 20 anni dopo.
olympia@radio24.it
La regia della puntata è a cura di Gianmarco Ferronato
Olympia del giorno 14/07/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - Pugili a bordo ring: le storie di Torromeo e gli States di Guido Vianello
Pugilato al centro della scena in questo appuntamento con "Sfogliando Olympia": reduci dal Premio e dal Festival dedicati a Rocky Marciano a Ripa Teatina (la cittadina in provincia di Chieti che ha dato i natali al papà del grande campione e dove è nato anche un altro campione del mondo, Rocky Mattioli), parliamo oggi di "Pugili" (edito da Absolutely Free) il nuovo volume curato da una delle penne storiche dello sport e della boxe italiana e mondiale, Dario Torromeo. "Ho voluto raccontare decine di storie di campioni grandi e meno noti, di fenomeni del ring e di pugili poco più che normali, ma che mi hanno affascinato per la loro ricchezza umana, perché chiunque riesca a salire su quel quadrato magico ha una storia degna di essere scritta e raccontata", spiega Torromeo.
Non fa ancora parte della rassegna di boxeur raccontata da Dario Torromeo, ma 25 anni Guido Vianello sta già scrivendo una pagina significativa della storia del nostro pugilato: abbandonato il dilettantismo, ha infatti compiuto il grande salto, passando professionista e trasferendosi negli stati Uniti. Una sfida non solo pugilistica, per il supermassimo romano che si racconta a cuore aperto qui a Sfogliando Olympia, a margine del match pugilistico tra Italia e Francia ospitato in questi giorni sempre a Ripa Teatina. "La mia avventura negli States rappresenta un'esperienza professionale e di vita incredibile - ci racconta il pugile romano -: l'inizio è stato duro, ma mi sto ambientando sempre meglio, e la voglia di arrivare in alto mi fa dimenticare fatica e sacrifici"
La regia della puntata è di Valeria Bernardi
olympia@radio24.it
Pugilato al centro della scena in questo appuntamento con "Sfogliando Olympia": reduci dal Premio e dal Festival dedicati a Rocky Marciano a Ripa Teatina (la cittadina in provincia di Chieti che ha dato i natali al papà del grande campione e dove è nato anche un altro campione del mondo, Rocky Mattioli), parliamo oggi di "Pugili" (edito da Absolutely Free) il nuovo volume curato da una delle penne storiche dello sport e della boxe italiana e mondiale, Dario Torromeo. "Ho voluto raccontare decine di storie di campioni grandi e meno noti, di fenomeni del ring e di pugili poco più che normali, ma che mi hanno affascinato per la loro ricchezza umana, perché chiunque riesca a salire su quel quadrato magico ha una storia degna di essere scritta e raccontata", spiega Torromeo.
Non fa ancora parte della rassegna di boxeur raccontata da Dario Torromeo, ma 25 anni Guido Vianello sta già scrivendo una pagina significativa della storia del nostro pugilato: abbandonato il dilettantismo, ha infatti compiuto il grande salto, passando professionista e trasferendosi negli stati Uniti. Una sfida non solo pugilistica, per il supermassimo romano che si racconta a cuore aperto qui a Sfogliando Olympia, a margine del match pugilistico tra Italia e Francia ospitato in questi giorni sempre a Ripa Teatina. "La mia avventura negli States rappresenta un'esperienza professionale e di vita incredibile - ci racconta il pugile romano -: l'inizio è stato duro, ma mi sto ambientando sempre meglio, e la voglia di arrivare in alto mi fa dimenticare fatica e sacrifici"
La regia della puntata è di Valeria Bernardi
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Olympia del giorno 07/07/2019: SFOGLIANDO OLYMPIA - Un' Italia delle biciclette tutta da leggere
Primo appuntamento con sfogliando Olympia, la rubrica di letture sportive che ci terrà compagnia per tutta l'estate. E subito si scatta a pedalare in ogni angolo della Penisola.
La casa editrice Graphot ha infatti pubblicato "L'Italia delle biciclette": musei, collezioni e itinerari turistici, un volume destinato ai veri appassionati di ciclismo e di cicloturismo.
Il saggio è firmato a quattro mani da Franco Bortuzzo e Beppe Conti, nomi noti a chi mastica biciclette. Bortuzzo è giornalista sportivo, in RAI dal 1999 e coordinatore giornalistico al Giro d Italia e al Tour de France oltre che curatore della rubrica Radiocorsa da quattro anni. Conti è opinionista di Rai Sport per il grande ciclismo, corrispondente per Tuttosport da oltre trent anni e autore di numerose pubblicazioni, una dei quali gli è valso il Premio Coni per la saggistica nel 2006.
Il loro libro è una celebrazione dell Italia da scoprire e da vivere in sella a una bici: la sua storia, la sua tradizione, le sue strade, le sue famose salite, i suoi miti (Costantino Girardengo, Alfredo Binda, Fausto Coppi, Gino Bartali, Felice Gimondi, Fiorenzo Magni, Marco Pantani per citarne alcuni dei più noti) e i luoghi a loro dedicati.
I due autori ci guidano lungo il nostro Paese lo stesso che nel 2018 è stato visitato da sei milioni di cicloturisti per oltre sette miliardi di euro di indotto alla scoperta del suo patrimonio di memoria del ciclismo : i musei e le collezioni private dedicati ai Grandi del passato e a tutto ciò che è, ed è stata, la bicicletta.
"Raccontiamo musei grandi e piccoli, pubblici e privati, gestiti da istituzioni o da semplici entusiasti volontari, realtà spesso poco conosciute e celebrate che dovrebbero essere promosse e proposte a tutti i ciclo ammiratori e non solo", spiegano Franco Bortuzzo e Beppe Conti
olympia@radio24.it
Primo appuntamento con sfogliando Olympia, la rubrica di letture sportive che ci terrà compagnia per tutta l'estate. E subito si scatta a pedalare in ogni angolo della Penisola.
La casa editrice Graphot ha infatti pubblicato "L'Italia delle biciclette": musei, collezioni e itinerari turistici, un volume destinato ai veri appassionati di ciclismo e di cicloturismo.
Il saggio è firmato a quattro mani da Franco Bortuzzo e Beppe Conti, nomi noti a chi mastica biciclette. Bortuzzo è giornalista sportivo, in RAI dal 1999 e coordinatore giornalistico al Giro d Italia e al Tour de France oltre che curatore della rubrica Radiocorsa da quattro anni. Conti è opinionista di Rai Sport per il grande ciclismo, corrispondente per Tuttosport da oltre trent anni e autore di numerose pubblicazioni, una dei quali gli è valso il Premio Coni per la saggistica nel 2006.
Il loro libro è una celebrazione dell Italia da scoprire e da vivere in sella a una bici: la sua storia, la sua tradizione, le sue strade, le sue famose salite, i suoi miti (Costantino Girardengo, Alfredo Binda, Fausto Coppi, Gino Bartali, Felice Gimondi, Fiorenzo Magni, Marco Pantani per citarne alcuni dei più noti) e i luoghi a loro dedicati.
I due autori ci guidano lungo il nostro Paese lo stesso che nel 2018 è stato visitato da sei milioni di cicloturisti per oltre sette miliardi di euro di indotto alla scoperta del suo patrimonio di memoria del ciclismo : i musei e le collezioni private dedicati ai Grandi del passato e a tutto ciò che è, ed è stata, la bicicletta.
"Raccontiamo musei grandi e piccoli, pubblici e privati, gestiti da istituzioni o da semplici entusiasti volontari, realtà spesso poco conosciute e celebrate che dovrebbero essere promosse e proposte a tutti i ciclo ammiratori e non solo", spiegano Franco Bortuzzo e Beppe Conti
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Olympia del giorno 30/06/2019: I tuffi di "Mister Volare": Alessandro De Rose
A Polignano a Mare ha incantato la folla, coi suoi tuffi da 27 metri d'altezza, di fronte a 60mila spettatori che l'hanno osannato e ribattezzato "Mister Volare", intonando le noti della canzone più celebre al mondo, proprio nella città natale di Domenico Modugno.
Lui però arriva dalla Calabria, e da lì è risalito fino ai trampolini più alti al mondo, fino a conquistare uno storico bronzo iridato due anni fa a Budapest, piazzamento che spera ora di migliorare ai prossimi mondiali, in programma a luglio in Corea del Sud. L'ospite di questa puntata - che chiude la stagione 2018-19 di Olympia - è Alessandro De Rose, il pioniere dei tuffi dalle grandi altezze in Italia."La paura? È un sentimento a due facce - spiega Alessandro, 27 anni, cosentino -. da un lato lo devi rispettare, ma utilizzandolo come stimolo; e al tempo stesso devi evitare che ti paralizzi. quel che è certo, è che quando arrivo in acqua, in 2 o 3 secondi e alla velocità di 80 km/ h, ecco in quei pochi istanti in cui entro in acqua e sono circondato dal silenzio più profondo, mi sento davvero me stesso".
"Alessandro De Rose riesce a gestire con straordinaria lucidità il concetto di paura, declinandolo come sano timore reverenziale rispetto alla prova che va ad affrontare, ma che non diventa mai terrore paralizzante", sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni.
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
olympia@radio24.it
A Polignano a Mare ha incantato la folla, coi suoi tuffi da 27 metri d'altezza, di fronte a 60mila spettatori che l'hanno osannato e ribattezzato "Mister Volare", intonando le noti della canzone più celebre al mondo, proprio nella città natale di Domenico Modugno.
Lui però arriva dalla Calabria, e da lì è risalito fino ai trampolini più alti al mondo, fino a conquistare uno storico bronzo iridato due anni fa a Budapest, piazzamento che spera ora di migliorare ai prossimi mondiali, in programma a luglio in Corea del Sud. L'ospite di questa puntata - che chiude la stagione 2018-19 di Olympia - è Alessandro De Rose, il pioniere dei tuffi dalle grandi altezze in Italia."La paura? È un sentimento a due facce - spiega Alessandro, 27 anni, cosentino -. da un lato lo devi rispettare, ma utilizzandolo come stimolo; e al tempo stesso devi evitare che ti paralizzi. quel che è certo, è che quando arrivo in acqua, in 2 o 3 secondi e alla velocità di 80 km/ h, ecco in quei pochi istanti in cui entro in acqua e sono circondato dal silenzio più profondo, mi sento davvero me stesso".
"Alessandro De Rose riesce a gestire con straordinaria lucidità il concetto di paura, declinandolo come sano timore reverenziale rispetto alla prova che va ad affrontare, ma che non diventa mai terrore paralizzante", sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni.
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
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Olympia del giorno 23/06/2019: La democrazia olimpica: MilanoCortina2026 spiegata ai cittadini
Mancano ormai poche ore alla scelta della città che ospiterà i Giochi Olimpici Invernali del 2026: due come sapete le candidate: la svedese Stoccolma-Are, e l'accoppiata congiunta italiana Milano-Cortina, per un 'olimpiade che, se sarà tricolore, sarà diffusa su un territorio molto ampio, coinvolgendo anche sedi come Bormio, Anterselva e Baselga di Piné tra Lombardia e Veneto. Decisione che arriverà domani da Losanna, dove è già riunito il Comitato Olimpico Internazionale.
Staremo a vedere come andrà ma comunque, a prescindere dall'esito della votazione in terra elvetica, non tutti sanno che comunque, in questi mesi, è andata in scena una piccola grande prova di democrazia olimpica, attraverso proprio il dialogo tra cittadini ed istituzioni.
I quartieri, i municipi di Milano, hanno infatti ospitato periodicamente degli incontri in cui i cittadini hanno potuto chiedere ai rappresentanti del comitato organizzatore di MilanoCortina2026 qualsiasi cosa sul progetto olimpico, da sostenibilità a mobilità alla realizzazione dei nuovi impianti e chi più ne ha più ne metta. Olympia ha assistito a uno di questi incontri, quello svoltosi nel municipio 9 di Milano, in zona Niguarda, e oggi ve lo raccontiamo attraverso le voci dei protagonisti. A partire dal pluricampione olimpico nella canoa Antonio Rossi, oggi sottosegretario della lombardia ai grandi eventi sportivi.
"È una grande esperienza di crescita culturale e sociale - sottolinea Rossi -: dialogare con i cittadini intorno al progetto olimpico e ai suoi valori permette a tutti di essere più consapevoli di cosa rappresenta un'Olimpiade per la città che vuole ospitarla, per il suo presente e il suo futuro".
Ma come si sta preparando Milano al sogno olimpico? "Abbiamo puntualmente seguito le indicazioni dell'Agenda 2020 stabilita dal Cio - spiega l'assessore allo sport della città, Roberta Guaineri -: gli interventi saranno mirati e funzionali anche e soprattutto a quella che sarà, speriamo, l'eredità olimpica dei Giochi del 2026".
"Un'Olimpiade è capace di liberare le energie positive di una città e di una comunità - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -; è vero che spesso ci sono difficoltà e incomprensioni, ma anche attraverso il superamento di questi ostacoli che si forgia una coscienza collettiva più solida e consapevole".
Noi ci crediamo e voi?
Il calendario della giornata di lunedì
La regia della puntata è di Gianmarco Ferronato
olympia@radio24.it
Mancano ormai poche ore alla scelta della città che ospiterà i Giochi Olimpici Invernali del 2026: due come sapete le candidate: la svedese Stoccolma-Are, e l'accoppiata congiunta italiana Milano-Cortina, per un 'olimpiade che, se sarà tricolore, sarà diffusa su un territorio molto ampio, coinvolgendo anche sedi come Bormio, Anterselva e Baselga di Piné tra Lombardia e Veneto. Decisione che arriverà domani da Losanna, dove è già riunito il Comitato Olimpico Internazionale.
Staremo a vedere come andrà ma comunque, a prescindere dall'esito della votazione in terra elvetica, non tutti sanno che comunque, in questi mesi, è andata in scena una piccola grande prova di democrazia olimpica, attraverso proprio il dialogo tra cittadini ed istituzioni.
I quartieri, i municipi di Milano, hanno infatti ospitato periodicamente degli incontri in cui i cittadini hanno potuto chiedere ai rappresentanti del comitato organizzatore di MilanoCortina2026 qualsiasi cosa sul progetto olimpico, da sostenibilità a mobilità alla realizzazione dei nuovi impianti e chi più ne ha più ne metta. Olympia ha assistito a uno di questi incontri, quello svoltosi nel municipio 9 di Milano, in zona Niguarda, e oggi ve lo raccontiamo attraverso le voci dei protagonisti. A partire dal pluricampione olimpico nella canoa Antonio Rossi, oggi sottosegretario della lombardia ai grandi eventi sportivi.
"È una grande esperienza di crescita culturale e sociale - sottolinea Rossi -: dialogare con i cittadini intorno al progetto olimpico e ai suoi valori permette a tutti di essere più consapevoli di cosa rappresenta un'Olimpiade per la città che vuole ospitarla, per il suo presente e il suo futuro".
Ma come si sta preparando Milano al sogno olimpico? "Abbiamo puntualmente seguito le indicazioni dell'Agenda 2020 stabilita dal Cio - spiega l'assessore allo sport della città, Roberta Guaineri -: gli interventi saranno mirati e funzionali anche e soprattutto a quella che sarà, speriamo, l'eredità olimpica dei Giochi del 2026".
"Un'Olimpiade è capace di liberare le energie positive di una città e di una comunità - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -; è vero che spesso ci sono difficoltà e incomprensioni, ma anche attraverso il superamento di questi ostacoli che si forgia una coscienza collettiva più solida e consapevole".
Noi ci crediamo e voi?
Il calendario della giornata di lunedì
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Olympia del giorno 16/06/2019: Il principe degli abissi: Homar Leuci
A 17 anni dal record mondiale di Umberto Pellizzari (-131m) in assetto variabile, un altro italiano è pronto a tentare l'impresa: Homar Leuci. L'apneista milanese sfiderà, infatti, il nuovo record italiano e internazionale di massima profondità di -131m in assetto costante (CWT, con monopinna).
L'impresa è in programma a Sharm el-Sheikh dal 22 al 29 giugno e teatro dell evento sarà il Freediving World Apnea Center, la struttura dove Homar sosterrà anche gli allenamenti di preparazione. Il record sarà tentato alla presenza di AIDA (Association for Development of Apnea), l'Associazione internazionale che regolamenta le competizioni di apnea e la registrazione dei record mondiali.Homar Leuci, classe '76, è il più grande apneista italiano in attività. Ha raggiunto il suo primo record di apnea in piscina dinamica nel 2004 e da allora non si è più fermato. A oggi ha stabilito 28 record in tutte le discipline, conquistando 7 record mondiali e 19 italiani, stabilendo 2 Guinness World Record. Inoltre ha conquistato 10 titoli italiani e 4 internazionali tra cui l'oro al Campionato Mondiale di apnea profonda nel 2016.
Oggi Leuci si racconta, da Sharm El Sheikh, per gli ascoltatori di Olympia, svelando segreti e misteri di una disciplina affascinante come l'apnea
"Cosa è il mare per me? Ha un doppio significato - spiega il campione -: è un luogo dove ritrovo me stesso, nel silenzio più profondo; ma è anche un elemento che mi induce a superarmi, a mettermi in gioco, in qualche modo a scavare dentro di me, a sfidare me stesso".
"La serenità e la forza mentale di Homar sono sorprendenti - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -, e sono frutto di una capacità del cervello di plasmarsi e adattarsi a condizioni psicofisiche estreme con grande plasticità -. In questo senso, apneisti e alpinisti sono simili agli astronauti, che adattano le proprie capacità percettive all'ambiente assolutamente straniante in cui agiscono, riuscendo a renderlo familiare e conoscibile".Da segnalare che Leuci ha inoltre dato il via a una campagna di crowfounding sulla piattaforma Produzioni dal Basso, per supportare il proprio progetto e tentativo di record mondiale.
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
olympia@radio24.it
A 17 anni dal record mondiale di Umberto Pellizzari (-131m) in assetto variabile, un altro italiano è pronto a tentare l'impresa: Homar Leuci. L'apneista milanese sfiderà, infatti, il nuovo record italiano e internazionale di massima profondità di -131m in assetto costante (CWT, con monopinna).
L'impresa è in programma a Sharm el-Sheikh dal 22 al 29 giugno e teatro dell evento sarà il Freediving World Apnea Center, la struttura dove Homar sosterrà anche gli allenamenti di preparazione. Il record sarà tentato alla presenza di AIDA (Association for Development of Apnea), l'Associazione internazionale che regolamenta le competizioni di apnea e la registrazione dei record mondiali.Homar Leuci, classe '76, è il più grande apneista italiano in attività. Ha raggiunto il suo primo record di apnea in piscina dinamica nel 2004 e da allora non si è più fermato. A oggi ha stabilito 28 record in tutte le discipline, conquistando 7 record mondiali e 19 italiani, stabilendo 2 Guinness World Record. Inoltre ha conquistato 10 titoli italiani e 4 internazionali tra cui l'oro al Campionato Mondiale di apnea profonda nel 2016.
Oggi Leuci si racconta, da Sharm El Sheikh, per gli ascoltatori di Olympia, svelando segreti e misteri di una disciplina affascinante come l'apnea
"Cosa è il mare per me? Ha un doppio significato - spiega il campione -: è un luogo dove ritrovo me stesso, nel silenzio più profondo; ma è anche un elemento che mi induce a superarmi, a mettermi in gioco, in qualche modo a scavare dentro di me, a sfidare me stesso".
"La serenità e la forza mentale di Homar sono sorprendenti - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -, e sono frutto di una capacità del cervello di plasmarsi e adattarsi a condizioni psicofisiche estreme con grande plasticità -. In questo senso, apneisti e alpinisti sono simili agli astronauti, che adattano le proprie capacità percettive all'ambiente assolutamente straniante in cui agiscono, riuscendo a renderlo familiare e conoscibile".Da segnalare che Leuci ha inoltre dato il via a una campagna di crowfounding sulla piattaforma Produzioni dal Basso, per supportare il proprio progetto e tentativo di record mondiale.
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
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Olympia del giorno 09/06/2019: Dall'Islanda a Madrid, viaggio alla ricerca del senso del calcio
Dalla gelida Islanda alla torrida Madrid, questa settimana Olympia ci guida in un viaggio alla ricerca del senso del calcio. Poca cosa, sarebbero il football, e lo sport in generale, infatti, se il loro significato si fermasse al pur decisivo risultato agonistico. ce lo ricordano due iniziative che abbiamo già presentato nelle scorse settimane, e che in questi giorni hanno trovato - stato trovando - il loro compimento.
Dopo la prima tappa del progetto, svoltasi alle Isole Svalbard, Stefano Tirelli porta "Sport for Nature", in Islanda, alla scoperta dei fragili ecosistemi ambientali dell'isola dei ghiacci e dei vulcani; equilibri precari minacciati ora dal riscaldamento globale. Ad affiancare in questa seconda spedizione del progetto il giornalista di Skysport Massimiliano Nebuloni. Obiettivo: creare un legame diretto tra i campioni dello sport (tra quelli che hanno aderito a "Sport for Nature", il ct della Nazionale Roberto Mancini, Alex Del Piero, Andrea Ranocchia, Mattia De Sceglio) e le istituzioni locali, direttamente impegnate a sviluppare il rapporto tra sport, cultura e rispetto ambientale. Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano, ha voluto dedicare questa tappa islandese del progetto alla memoria di Daniele Nardi, l'alpinista ed esploratore scomparso insieme all'inglese Tom Ballard sulle pendici del Nanga Parbat lo scorso febbraio, e di cui il mental coach è stato amico e collaboratore.
Dall'Islanda ci trasferiremo poi a Madrid, scenario della finale di Champions che ha visto trionfare il Liverpool contro il Tottenham. Ma a margine della partita più attesa, si è svolta anche la fase finale della "Football for Friendship", la rassegna di calcio giovanile promossa da Gazprom, colosso russo dell'energia, e che ha permesso a calciatori e calciatrici Under13 provenienti da ben 211 Paesi di conoscersi e confrontarsi attraverso il calcio.
Padrino della manifestazione Roberto Carlos, lo straordinario ex terzino di Inter, Real Madrid e Nazionale brasiliana:"Vedere in campo questi bambini mi fa ripensare ai miei inizi - ci ha detto l'asso verdeoro - vedo nei loro occhi la stessa passione che mi animava alla loro età.
Per l'Italia una piccola grande soddisfazione: il giovane calciatore del Pescara Calcio Samuele Baldacci ha vinto - oltre al torneo con la sua formazione - anche i titoli di capocannoniere e miglior giocatore del torneo:" Ma quello che mi riporto a casa - ci ha detto - è soprattutto un'esperienza indimenticabile di condivisione e amicizia con tanti coetanei provenienti da tutto il mondo".
La regia della puntata è a cura di Roberta Frisani
olympia@radio24.it
Dalla gelida Islanda alla torrida Madrid, questa settimana Olympia ci guida in un viaggio alla ricerca del senso del calcio. Poca cosa, sarebbero il football, e lo sport in generale, infatti, se il loro significato si fermasse al pur decisivo risultato agonistico. ce lo ricordano due iniziative che abbiamo già presentato nelle scorse settimane, e che in questi giorni hanno trovato - stato trovando - il loro compimento.
Dopo la prima tappa del progetto, svoltasi alle Isole Svalbard, Stefano Tirelli porta "Sport for Nature", in Islanda, alla scoperta dei fragili ecosistemi ambientali dell'isola dei ghiacci e dei vulcani; equilibri precari minacciati ora dal riscaldamento globale. Ad affiancare in questa seconda spedizione del progetto il giornalista di Skysport Massimiliano Nebuloni. Obiettivo: creare un legame diretto tra i campioni dello sport (tra quelli che hanno aderito a "Sport for Nature", il ct della Nazionale Roberto Mancini, Alex Del Piero, Andrea Ranocchia, Mattia De Sceglio) e le istituzioni locali, direttamente impegnate a sviluppare il rapporto tra sport, cultura e rispetto ambientale. Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano, ha voluto dedicare questa tappa islandese del progetto alla memoria di Daniele Nardi, l'alpinista ed esploratore scomparso insieme all'inglese Tom Ballard sulle pendici del Nanga Parbat lo scorso febbraio, e di cui il mental coach è stato amico e collaboratore.
Dall'Islanda ci trasferiremo poi a Madrid, scenario della finale di Champions che ha visto trionfare il Liverpool contro il Tottenham. Ma a margine della partita più attesa, si è svolta anche la fase finale della "Football for Friendship", la rassegna di calcio giovanile promossa da Gazprom, colosso russo dell'energia, e che ha permesso a calciatori e calciatrici Under13 provenienti da ben 211 Paesi di conoscersi e confrontarsi attraverso il calcio.
Padrino della manifestazione Roberto Carlos, lo straordinario ex terzino di Inter, Real Madrid e Nazionale brasiliana:"Vedere in campo questi bambini mi fa ripensare ai miei inizi - ci ha detto l'asso verdeoro - vedo nei loro occhi la stessa passione che mi animava alla loro età.
Per l'Italia una piccola grande soddisfazione: il giovane calciatore del Pescara Calcio Samuele Baldacci ha vinto - oltre al torneo con la sua formazione - anche i titoli di capocannoniere e miglior giocatore del torneo:" Ma quello che mi riporto a casa - ci ha detto - è soprattutto un'esperienza indimenticabile di condivisione e amicizia con tanti coetanei provenienti da tutto il mondo".
La regia della puntata è a cura di Roberta Frisani
olympia@radio24.it
Olympia del giorno 02/06/2019: L'altra metà del football: verso la Coppa del Mondo donne di Francia 2019
Una grande festa, con in palio il trofeo più ambito, la Coppa del Mondo. Sì la Coppa del Mondo di calcio, ma non quella maschile disputata lo scorso anno in Russia, e senza gli azzurri in campo. Ma il Mondiale di calcio femminile, che scatta in Francia il 7 giugno. E stavolta l'Italia ci sarà, eccome, con le azzurre che ritornano a disputare la fase finale di un Mondiale dopo ben 20 anni d'assenza. Occasione preziosa, quindi, per tornare a vivere un'estate tifando l'Italia del pallone, ma anche per fare il punto sulla crescita dell'altra metà del calcio, quella in rosa, che rappresenta il presente e il futuro del pianeta-football.
Cammino difficile per le azzurre, che nel gruppo C dovranno vedersela con Australia, Giamaica e Brasile. "Ma poteva andar peggio - sottolinea Gaia Brunelli, voce e volto del calcio femminile per SkySport - perché se è vero che le australiane sono la sesta squadra del ranking mondiale, giamaicane e brasiliane potrebbero concedere qualcosa sotto il profilo tattico: insomma, con un pari contro l'Australia all'esordio (domenica 9 giugno a Valenciennes, alle 13, n.d.r.), sograre il passaggio del turno non sarebbe impossibile...".
Calcio, quello femminile, che sta definendo sempre meglio la propria identità, facendosi largo tra pregiudizi e difficoltà. "Importante evitare l'errore di voler per forza somigliare al football maschile - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive all'università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -; il football in rosa ha la sua specificità, e deve esaltarla, integrandola col calcio al maschile, e anzi cercando di portare uno spirito di novità e dinamismo proprio nel calcio al maschile".
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
olympia@radio24.it
Una grande festa, con in palio il trofeo più ambito, la Coppa del Mondo. Sì la Coppa del Mondo di calcio, ma non quella maschile disputata lo scorso anno in Russia, e senza gli azzurri in campo. Ma il Mondiale di calcio femminile, che scatta in Francia il 7 giugno. E stavolta l'Italia ci sarà, eccome, con le azzurre che ritornano a disputare la fase finale di un Mondiale dopo ben 20 anni d'assenza. Occasione preziosa, quindi, per tornare a vivere un'estate tifando l'Italia del pallone, ma anche per fare il punto sulla crescita dell'altra metà del calcio, quella in rosa, che rappresenta il presente e il futuro del pianeta-football.
Cammino difficile per le azzurre, che nel gruppo C dovranno vedersela con Australia, Giamaica e Brasile. "Ma poteva andar peggio - sottolinea Gaia Brunelli, voce e volto del calcio femminile per SkySport - perché se è vero che le australiane sono la sesta squadra del ranking mondiale, giamaicane e brasiliane potrebbero concedere qualcosa sotto il profilo tattico: insomma, con un pari contro l'Australia all'esordio (domenica 9 giugno a Valenciennes, alle 13, n.d.r.), sograre il passaggio del turno non sarebbe impossibile...".
Calcio, quello femminile, che sta definendo sempre meglio la propria identità, facendosi largo tra pregiudizi e difficoltà. "Importante evitare l'errore di voler per forza somigliare al football maschile - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive all'università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -; il football in rosa ha la sua specificità, e deve esaltarla, integrandola col calcio al maschile, e anzi cercando di portare uno spirito di novità e dinamismo proprio nel calcio al maschile".
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
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Olympia del giorno 26/05/2019: Quando in Champions ci saremo noi: i mini-calciatori del torneo "Football for Friendship"
Per adesso la finale Champions League se la godranno, sabato 1 giugno, dagli spalti del "Wanda Metropolitano" di Madrid, tifando per il Liverpool o il Tottenham in questo derby inglese che assegnerà la 'coppa dalle grandi orecchie'. Ma un giorno, chissà forse neanche troppo lontano, sul quel prato verde, a giocarsi quel leggendario trofeo, potrebbe esserci anche qualcuno di loro. A sognare ad occhi aperti sono i giovani calciatori che anche quest'anno parteciperanno a "Football for Friendship", il progetto di formazione attraverso il calcio ideato da Gazprom, colosso russo dell'energia, e giunto quest'anno alla sesta edizione.
Prima di Madrid, l'evento - una settimana di incontri, dibattiti, riflessioni sul rapporto tra sport, giovani, calcio e valori condivisi tra giovani provenienti da ogni Paese del mondo - è stato ospitato nelle principali città mondiali, da Londra a Mosca, sempre in occasione dei maggiori eventi calcistici, come la finale Champions o quella di Russia 2018. Occasione quindi, per tanti ragazzi e ragazze tra i 12 e 14 anni, di vedere il grande calcio dal vivo, ma soprattutto di incontrarsi e sfidarsi intorno e sul campo di gioco. Finora, sono stati più di 5.500 i giovani atleti coinvolti nelle varie edizioni di "Football for Friendship", provenienti ormai stabilmente da più di 200 Paesi.
A rappresentare l'Italia, con i suoi giovani calciatori, da tre anni è il Pescara Calcio. Antonio Di Battista, coordinatore tecnico e responsabile scouting del settore giovanile degli abruzzesi, ci spiega che tornei di questo livello hanno anche un primo valore tecnico, nell'individuazione dei giovani talenti: "Tecnicamente già si riesce a individuare una predisposizione, ma ovvio a questa età è ancora molto presto, perché i cambiamenti possono essere tanti, con la crescita. Ma quel che conta è che questo torneo è, per i ragazzi, una grande opportunità di crescita e maturazione personale".
Ad accompagnare i giovani calciatori del Pescara, anche un fisioterapista del club, Marco Riccitelli: "Sarà una grande esperienza anche per me, per confrontarmi con colleghi da tutto il mondo. In Italia, la gestione fisico-muscolare dei giovani calciatori ha fatto passi da gigante, con staff dedicati proprio per i settori giovanili, e la possibilità quindi di seguire da vicino i ragazzi in una fase decisiva della loro crescita psico-fisica".
E allora sentiamoli, i giovani calciatori abruzzesi in partenza per la Football For Friendship: il centrocampista Samuele Baldacci, il difensore Francesco Caprio, il portiere Edoardo Toni Costanzo e Andrea De Stefanis, difensore 15enne che nell'occasione rivestirà il ruolo di 'allenatore' di una formazione in gara.
singolare la formula del torneo, secondo la quale le squadre partecipanti vengono formate tramite sorteggio tra tutti i partecipanti. Capita così che nella stessa squadra possano esserci atleti italiani, russi, inglesi, nigeriani e sudcoreani, che devono imparare a conoscersi e dialogare attraverso l'unico linguaggio comune che tutti conoscono: quello del calcio. "È un'idea davvero geniale - commenta stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive presso l'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -; in questo modo, i ragazzi si conoscono e sono chiamati a impegnarsi per creare dei 'ponti' di cominicazione fra di loro; collegamenti che sapranno poi riprodurre fuori dal campo e nella loro vita di tutti i giorni".
la regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
olympia@radio24.it
Per adesso la finale Champions League se la godranno, sabato 1 giugno, dagli spalti del "Wanda Metropolitano" di Madrid, tifando per il Liverpool o il Tottenham in questo derby inglese che assegnerà la 'coppa dalle grandi orecchie'. Ma un giorno, chissà forse neanche troppo lontano, sul quel prato verde, a giocarsi quel leggendario trofeo, potrebbe esserci anche qualcuno di loro. A sognare ad occhi aperti sono i giovani calciatori che anche quest'anno parteciperanno a "Football for Friendship", il progetto di formazione attraverso il calcio ideato da Gazprom, colosso russo dell'energia, e giunto quest'anno alla sesta edizione.
Prima di Madrid, l'evento - una settimana di incontri, dibattiti, riflessioni sul rapporto tra sport, giovani, calcio e valori condivisi tra giovani provenienti da ogni Paese del mondo - è stato ospitato nelle principali città mondiali, da Londra a Mosca, sempre in occasione dei maggiori eventi calcistici, come la finale Champions o quella di Russia 2018. Occasione quindi, per tanti ragazzi e ragazze tra i 12 e 14 anni, di vedere il grande calcio dal vivo, ma soprattutto di incontrarsi e sfidarsi intorno e sul campo di gioco. Finora, sono stati più di 5.500 i giovani atleti coinvolti nelle varie edizioni di "Football for Friendship", provenienti ormai stabilmente da più di 200 Paesi.
A rappresentare l'Italia, con i suoi giovani calciatori, da tre anni è il Pescara Calcio. Antonio Di Battista, coordinatore tecnico e responsabile scouting del settore giovanile degli abruzzesi, ci spiega che tornei di questo livello hanno anche un primo valore tecnico, nell'individuazione dei giovani talenti: "Tecnicamente già si riesce a individuare una predisposizione, ma ovvio a questa età è ancora molto presto, perché i cambiamenti possono essere tanti, con la crescita. Ma quel che conta è che questo torneo è, per i ragazzi, una grande opportunità di crescita e maturazione personale".
Ad accompagnare i giovani calciatori del Pescara, anche un fisioterapista del club, Marco Riccitelli: "Sarà una grande esperienza anche per me, per confrontarmi con colleghi da tutto il mondo. In Italia, la gestione fisico-muscolare dei giovani calciatori ha fatto passi da gigante, con staff dedicati proprio per i settori giovanili, e la possibilità quindi di seguire da vicino i ragazzi in una fase decisiva della loro crescita psico-fisica".
E allora sentiamoli, i giovani calciatori abruzzesi in partenza per la Football For Friendship: il centrocampista Samuele Baldacci, il difensore Francesco Caprio, il portiere Edoardo Toni Costanzo e Andrea De Stefanis, difensore 15enne che nell'occasione rivestirà il ruolo di 'allenatore' di una formazione in gara.
singolare la formula del torneo, secondo la quale le squadre partecipanti vengono formate tramite sorteggio tra tutti i partecipanti. Capita così che nella stessa squadra possano esserci atleti italiani, russi, inglesi, nigeriani e sudcoreani, che devono imparare a conoscersi e dialogare attraverso l'unico linguaggio comune che tutti conoscono: quello del calcio. "È un'idea davvero geniale - commenta stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive presso l'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -; in questo modo, i ragazzi si conoscono e sono chiamati a impegnarsi per creare dei 'ponti' di cominicazione fra di loro; collegamenti che sapranno poi riprodurre fuori dal campo e nella loro vita di tutti i giorni".
la regia della puntata è a cura di Andrea Roccabella
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Olympia del giorno 19/05/2019: Kyler Murray e gli altri: i campioni multisport
Un pò emozionato, un pò intimidito, ma anche voglio di far bene e di divertirsi, perché in fondo il segreto è tutto lì. Certo Kyler Murray è un atleta del tutto particolare nello scenario dello sport americano e internazionale. atleta eclettico, mi viene da dire per eccellenza: sì perché il 22enne di Bedford, in Texas, figlio di Kevin ex pro del baseball e nipote di Calvin, ex professionista del baseball, è da sempre un talento precocissimo: fin dai tempi del liceo è il migliore degli Stati Uniti nel football americano e all'Università, la Texas A&M University, sceglie di praticare sia football che baseball, l'altra grande passione di famiglia.
Ebbene anche nel national pass-time americano, come viene indicato il baseball al di là dell'Oceano, Kyer non se la cava per niente male: al punto che nel 2016 si trasferisce ad Oklahoma, e si dichiara eleggibile per il draft della Major League Baseball del 2018, ed è scelto con il numero 9 dagli Okland A's; ma sempre nel 2018 eccolo protagonista di una stagione fenomenale da quarteback nel football americano, tanto da divenire il numero 1 nel draft anche nel football. Da qui allo sbarco nel football a stelle e strisce il passo è breve: Kyler Murray viene scelto come numero uno dagli Arizona Cardinals, di cui è ora diventato il quarterback titolare, che dovrà guidare la rinascita di una delle franchigie più deboli della Lega. Scelta, quella di Kyler, dettata dal talento, ma anche da tanti altri fattori: la popolarità (enorme per i campioni del football, relativa per gli assi del baseball), e quindi il conseguente potere attrattivo per gli sponsor, ma anche la differenza esponenziale d'ingaggio: se dagli Oklands A's Murray avrebbe intascato 4,1 milioni di euro l'anno, mentre Arizona gli garantirà un contratto almeno sette volte superiore.
Insomma, vicenda particolare e con tanti risvolti, per un talento straordinario, se non altro per il livello delle scelte al draft che lo riguardano (lo ricordiamo, primo nel football, nono nel baseball; ma quello di Kyler Murray non è certo l'unico esempio di campione eclettico, in una storia dello sport da sempre caratterizzata dalla dicotomia tra eclettismo ed estrema specializzazione, sperimentazione e specificità esasperata "Essere campioni eclettici e polivalenti? Si può, se il cervello dell'atleta mette a frutto la sua plasticità - spiega Stefano Tirelli - docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -, perché nella nostra mente ci sono tutte le mappe neuronali necessarie per sviluppare l'intera gamma delle nostre potenzialità: basta, per prima cosa, non avere paura del nuovo e del diverso".
eppure ci sono stati grandissimi campioni che, pur volendo essere eclettici, non ci sono riusciti. un nome su tutti: Michael Jordan, dominatore nel basket e anonimo giocatore di baseball: perché? "La risposta è facile e complessa al tempo stesso - spiega il professor Tirelli -: nel caso di MJ il basket non era un lavoro o una disciplina sportiva, ma la vita stessa, cui Jordan ha dedicato tutto se stesso, senza possibilità di alternative".
La regia della puntata è a cura di Valerio Rocchetti
olympia@radio24.it
Un pò emozionato, un pò intimidito, ma anche voglio di far bene e di divertirsi, perché in fondo il segreto è tutto lì. Certo Kyler Murray è un atleta del tutto particolare nello scenario dello sport americano e internazionale. atleta eclettico, mi viene da dire per eccellenza: sì perché il 22enne di Bedford, in Texas, figlio di Kevin ex pro del baseball e nipote di Calvin, ex professionista del baseball, è da sempre un talento precocissimo: fin dai tempi del liceo è il migliore degli Stati Uniti nel football americano e all'Università, la Texas A&M University, sceglie di praticare sia football che baseball, l'altra grande passione di famiglia.
Ebbene anche nel national pass-time americano, come viene indicato il baseball al di là dell'Oceano, Kyer non se la cava per niente male: al punto che nel 2016 si trasferisce ad Oklahoma, e si dichiara eleggibile per il draft della Major League Baseball del 2018, ed è scelto con il numero 9 dagli Okland A's; ma sempre nel 2018 eccolo protagonista di una stagione fenomenale da quarteback nel football americano, tanto da divenire il numero 1 nel draft anche nel football. Da qui allo sbarco nel football a stelle e strisce il passo è breve: Kyler Murray viene scelto come numero uno dagli Arizona Cardinals, di cui è ora diventato il quarterback titolare, che dovrà guidare la rinascita di una delle franchigie più deboli della Lega. Scelta, quella di Kyler, dettata dal talento, ma anche da tanti altri fattori: la popolarità (enorme per i campioni del football, relativa per gli assi del baseball), e quindi il conseguente potere attrattivo per gli sponsor, ma anche la differenza esponenziale d'ingaggio: se dagli Oklands A's Murray avrebbe intascato 4,1 milioni di euro l'anno, mentre Arizona gli garantirà un contratto almeno sette volte superiore.
Insomma, vicenda particolare e con tanti risvolti, per un talento straordinario, se non altro per il livello delle scelte al draft che lo riguardano (lo ricordiamo, primo nel football, nono nel baseball; ma quello di Kyler Murray non è certo l'unico esempio di campione eclettico, in una storia dello sport da sempre caratterizzata dalla dicotomia tra eclettismo ed estrema specializzazione, sperimentazione e specificità esasperata "Essere campioni eclettici e polivalenti? Si può, se il cervello dell'atleta mette a frutto la sua plasticità - spiega Stefano Tirelli - docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -, perché nella nostra mente ci sono tutte le mappe neuronali necessarie per sviluppare l'intera gamma delle nostre potenzialità: basta, per prima cosa, non avere paura del nuovo e del diverso".
eppure ci sono stati grandissimi campioni che, pur volendo essere eclettici, non ci sono riusciti. un nome su tutti: Michael Jordan, dominatore nel basket e anonimo giocatore di baseball: perché? "La risposta è facile e complessa al tempo stesso - spiega il professor Tirelli -: nel caso di MJ il basket non era un lavoro o una disciplina sportiva, ma la vita stessa, cui Jordan ha dedicato tutto se stesso, senza possibilità di alternative".
La regia della puntata è a cura di Valerio Rocchetti
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Olympia del giorno 12/05/2019: Un tuffo nel futuro: Chiara Pellacani
Come Tania Cagnotto. Anzi, meglio. C'è il marchio del talento, evidentemente, sulla predestinata Chiara Pellacani, che a 16 anni ancora da compiere, la scorsa estate, a Glasgow si è presa il primo oro europeo senior (dopo quello junior da 3m, a Bergen 2017) facendo meglio della leggenda bolzanina, che le prime medaglie continentali (argento e bronzo) le vinse a Berlino 2002, a 17 anni. Una crescita esponenziale che è perseguita nei mesi successivi: nel 2018 ha infatti conquistato la qualificazione per l'Italia ai Giochi olimpici giovanili di Buenos Aires 2018 centrando la finale mondiale sia dal trampolino 3 metri, sia dalla piattaforma, ai Mondiali giovanili di tuffi 2018. anche l'inizio della nuova stagione è stato quanto mai promettente: a fine marzo Chiara ha vinto 3 ori in 3 gare ai campionati italiani assoluti: sincro da 3 metri, da 10 metri e ha battuto per la prima volta la sua compagna Bertocchi vincendo così il titolo assoluto.
Proprio attraverso le parole, e i tuffi, di Chiara, cerchiamo oggi qui a Olympia di intravvedere un pò del futuro dello sport azzurro, tra sacrifici quotidiani, gestione del talento, sogni da realizzare e obiettivi da concretizzare:" Le Olimpiadi? Mi sono emozionata a Buenos Aires, figuratevi al solo pensiero di poter essere a Tokyo!! Ma prima c'è una qualificazione da ottenere! La rivalità con Elena Bertocchi? Siamo compagne di sincro, e lavoriamo insieme per vincere e migliorarci, come è successo a Glasgow! e poi nei tuffi il vero rivale sei te stessa, in una continua ricerca del miglioramento, del superamento dei propri limiti!", sottolinea Chiara"Quella dei tuffi è una disciplina di straordinaria intensità psico-fisica - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive all' Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni - in cui preparazione, strategia e istintività si fondono alla perfezione: l'immediatezza del gesto tecnico sublima ed esalta un lavoro tecnico di altissimo livello. Campioni come Chiara Pellacani sono, al tempo stesso, frutto di lavoro e istinto, qualità fondamentali per portare a maturazione il talento".
olympia@radio24.it
Come Tania Cagnotto. Anzi, meglio. C'è il marchio del talento, evidentemente, sulla predestinata Chiara Pellacani, che a 16 anni ancora da compiere, la scorsa estate, a Glasgow si è presa il primo oro europeo senior (dopo quello junior da 3m, a Bergen 2017) facendo meglio della leggenda bolzanina, che le prime medaglie continentali (argento e bronzo) le vinse a Berlino 2002, a 17 anni. Una crescita esponenziale che è perseguita nei mesi successivi: nel 2018 ha infatti conquistato la qualificazione per l'Italia ai Giochi olimpici giovanili di Buenos Aires 2018 centrando la finale mondiale sia dal trampolino 3 metri, sia dalla piattaforma, ai Mondiali giovanili di tuffi 2018. anche l'inizio della nuova stagione è stato quanto mai promettente: a fine marzo Chiara ha vinto 3 ori in 3 gare ai campionati italiani assoluti: sincro da 3 metri, da 10 metri e ha battuto per la prima volta la sua compagna Bertocchi vincendo così il titolo assoluto.
Proprio attraverso le parole, e i tuffi, di Chiara, cerchiamo oggi qui a Olympia di intravvedere un pò del futuro dello sport azzurro, tra sacrifici quotidiani, gestione del talento, sogni da realizzare e obiettivi da concretizzare:" Le Olimpiadi? Mi sono emozionata a Buenos Aires, figuratevi al solo pensiero di poter essere a Tokyo!! Ma prima c'è una qualificazione da ottenere! La rivalità con Elena Bertocchi? Siamo compagne di sincro, e lavoriamo insieme per vincere e migliorarci, come è successo a Glasgow! e poi nei tuffi il vero rivale sei te stessa, in una continua ricerca del miglioramento, del superamento dei propri limiti!", sottolinea Chiara"Quella dei tuffi è una disciplina di straordinaria intensità psico-fisica - sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive all' Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni - in cui preparazione, strategia e istintività si fondono alla perfezione: l'immediatezza del gesto tecnico sublima ed esalta un lavoro tecnico di altissimo livello. Campioni come Chiara Pellacani sono, al tempo stesso, frutto di lavoro e istinto, qualità fondamentali per portare a maturazione il talento".
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Olympia del giorno 05/05/2019: Brasile, Juventus, Inter: quando la Storia è questione di...maglie
Voci - quella di Alcides Ghiggia, autore del gol decisivo - e radiocronache - quella uruguaiana e quella brasiliana - che arrivano dal passato da una delle pagine leggendarie della storia del calcio. Siamo al Maracanà di Rio de Janeiro, il 16 luglio 1950, e di fronte a quasi 200mila spettatori l'Uruguay batte 2 a 1 il Brasile padrone di casa soffiandogli un titolo mondiale che sembrava cosa già fatta. Per il Brasile una disfatta che passò alla storia come il Maracanazo, superato forse solo nel 2014 quando i brasiliani - sempre in casa - subirono l'umiliante 7 a 1 nella semifinale mondiale contro la Germania, disfatta passata alla storia col nome di Mineirazo. Disperazione, lacrime, anche suicidi: ma il ko del 1950 ebbe anche una conseguenza pratica; l'addio alla maglia bianca, da parte dei brasiliani, a favore della maglia verdeoro che tutti conosciamo. Una scelta dettata dalla volontà di allontanare ricordo e dolore di quella sconfitta. Ma quella maglia bianca tornerà a vestire i brasiliani proprio questa estate, in occasione della Coppa america ancora una volta ospitata dal Brasile, per celebrare il trionfo dei padroni di casa nella Coppa America del 1919 esattamente un secolo fa
Simboli, divise e credenze che ritornano, e proprio di questo parliamo oggi a Olympia, partendo da un amico, storico dello sport e membro della Società Italiana di Storia dello Sport, Francesco Gallo, autore per l'editore Ultrasport del libro Copa America, e che ci aiuterà in questo viaggio nel tempo, alle origini del calcio sudamericano.
"Il ritorno del Brasile alla maglia bianca? Una grande emozione, vista la storia che ne causò l'abbandono...Non solo il Maracanazo, infatti, ma anche il ko nella coppa america del 1953 convinsero la Federcalcio brasiliana a indire un concorso per cambiare i colori della maglietta, che divennero così gli attuali verde e oro ...", spiega Francesco Gallo. "ora il ritorno al bianco vuiole essere anche un omaggio a quell' Arthur Friedenreich che è stato uno dei miti del calcio brasiliano e grande goleador protagonista della vittoria proprio nel 1919", sottolinea lo storico dello sport.
Ma, in un momento in cui anche altre divise storiche - basti pensare a quelle di Juventus e Inter - stanno cambiando in modo radicale, che influenza ha questo cambiamento sui giocatori, sui campioni che quelle divise dovranno indossarle? "Niente scuse né superstizioni. La forza mentale è innanzitutto libertà, in particolare dai condizionamenti esterni che possono influenza la performance. Perciò non c'è colore o divisa che possa affievolire la volontà di vincere o di dare il massimo", evidenzia Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni.
La regia della puntata è di Roberta Frisani e Pietro La Corte
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Voci - quella di Alcides Ghiggia, autore del gol decisivo - e radiocronache - quella uruguaiana e quella brasiliana - che arrivano dal passato da una delle pagine leggendarie della storia del calcio. Siamo al Maracanà di Rio de Janeiro, il 16 luglio 1950, e di fronte a quasi 200mila spettatori l'Uruguay batte 2 a 1 il Brasile padrone di casa soffiandogli un titolo mondiale che sembrava cosa già fatta. Per il Brasile una disfatta che passò alla storia come il Maracanazo, superato forse solo nel 2014 quando i brasiliani - sempre in casa - subirono l'umiliante 7 a 1 nella semifinale mondiale contro la Germania, disfatta passata alla storia col nome di Mineirazo. Disperazione, lacrime, anche suicidi: ma il ko del 1950 ebbe anche una conseguenza pratica; l'addio alla maglia bianca, da parte dei brasiliani, a favore della maglia verdeoro che tutti conosciamo. Una scelta dettata dalla volontà di allontanare ricordo e dolore di quella sconfitta. Ma quella maglia bianca tornerà a vestire i brasiliani proprio questa estate, in occasione della Coppa america ancora una volta ospitata dal Brasile, per celebrare il trionfo dei padroni di casa nella Coppa America del 1919 esattamente un secolo fa
Simboli, divise e credenze che ritornano, e proprio di questo parliamo oggi a Olympia, partendo da un amico, storico dello sport e membro della Società Italiana di Storia dello Sport, Francesco Gallo, autore per l'editore Ultrasport del libro Copa America, e che ci aiuterà in questo viaggio nel tempo, alle origini del calcio sudamericano.
"Il ritorno del Brasile alla maglia bianca? Una grande emozione, vista la storia che ne causò l'abbandono...Non solo il Maracanazo, infatti, ma anche il ko nella coppa america del 1953 convinsero la Federcalcio brasiliana a indire un concorso per cambiare i colori della maglietta, che divennero così gli attuali verde e oro ...", spiega Francesco Gallo. "ora il ritorno al bianco vuiole essere anche un omaggio a quell' Arthur Friedenreich che è stato uno dei miti del calcio brasiliano e grande goleador protagonista della vittoria proprio nel 1919", sottolinea lo storico dello sport.
Ma, in un momento in cui anche altre divise storiche - basti pensare a quelle di Juventus e Inter - stanno cambiando in modo radicale, che influenza ha questo cambiamento sui giocatori, sui campioni che quelle divise dovranno indossarle? "Niente scuse né superstizioni. La forza mentale è innanzitutto libertà, in particolare dai condizionamenti esterni che possono influenza la performance. Perciò non c'è colore o divisa che possa affievolire la volontà di vincere o di dare il massimo", evidenzia Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni.
La regia della puntata è di Roberta Frisani e Pietro La Corte
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Olympia del giorno 28/04/2019: Da Montecarlo a Torino, la settimana d'oro del tennis italiano
La soddisfazione della sindaca di Torino, Chiara Appendino, è quella di tutta l'Italia dello sport. Dal 2021 e fino al 2025 sarà proprio Torino la sede delle Atp Finals di tennis, il torneo che nella seconda metà di novembre riunisce, da tradizione, gli otto migliori giocatori del mondo, che si disputano il titolo di Master. Insomma, Djokovic, Nadal, chissà forse anche il divino - e speriamo pure eterno! - Roger Federer e i giovani ruggenti che li incalzano si affronteranno davanti ai 14mila del PalaAlpitour, impianto creato per i Giochi invernali del 2006. Un successo organizzativo arrivato pochi giorni dopo la splendida vittoria di Fabio Fognini sulla terra rossa di Montecarlo. E allora proprio a questi due eventi dedichiamo oggi questa puntata speciale di Olympia.
"I punti di forza della nostra candidatura? Il gioco di squadra tra istituzioni centrali, locali e sportive; la qualità dei nostri giocatori; la nostra credibilità organizzativa - spiega Angelo Binaghi, presidente della Federtenis -; e aver ottenuto l'assegnazione del Masters proprio nella settimana che ha visto la vittoria di Fognini a Montecarlo è stato ancor più motivo di soddisfazione e orgoglio".
Le istituzioni, ma anche e soprattutto i campioni, protagonisti oggi a Olympia: pareri d'autore, quelli di Nicola Pietrangeli e Paolo Bertolucci, sulla grande vittoria di Fognini a Montecarlo; e nello spogliatoio del 32enne ligure ci conduce per mano Corrado Barazzutti, ct azzurro, asso di quella stessa nazionale che vinse la Coppa Davis nel 1976, e da alcune settimane tecnico proprio di Fognini: "Abbiamo lavorato tanto, sulla tecnica, ma soprattutto su attitudine e concentrazione. E i risultati stanno arrivando, insieme al suo tennis migliore. Gli obiettivi? Un torneo Masters1000 come Montecarlo è arrivato, perché non puntare, ora, a un torneo dello Slam?".
La regia della puntata è a cura di Gianmarco Ferronato
mail: olympia@radio24.it
La soddisfazione della sindaca di Torino, Chiara Appendino, è quella di tutta l'Italia dello sport. Dal 2021 e fino al 2025 sarà proprio Torino la sede delle Atp Finals di tennis, il torneo che nella seconda metà di novembre riunisce, da tradizione, gli otto migliori giocatori del mondo, che si disputano il titolo di Master. Insomma, Djokovic, Nadal, chissà forse anche il divino - e speriamo pure eterno! - Roger Federer e i giovani ruggenti che li incalzano si affronteranno davanti ai 14mila del PalaAlpitour, impianto creato per i Giochi invernali del 2006. Un successo organizzativo arrivato pochi giorni dopo la splendida vittoria di Fabio Fognini sulla terra rossa di Montecarlo. E allora proprio a questi due eventi dedichiamo oggi questa puntata speciale di Olympia.
"I punti di forza della nostra candidatura? Il gioco di squadra tra istituzioni centrali, locali e sportive; la qualità dei nostri giocatori; la nostra credibilità organizzativa - spiega Angelo Binaghi, presidente della Federtenis -; e aver ottenuto l'assegnazione del Masters proprio nella settimana che ha visto la vittoria di Fognini a Montecarlo è stato ancor più motivo di soddisfazione e orgoglio".
Le istituzioni, ma anche e soprattutto i campioni, protagonisti oggi a Olympia: pareri d'autore, quelli di Nicola Pietrangeli e Paolo Bertolucci, sulla grande vittoria di Fognini a Montecarlo; e nello spogliatoio del 32enne ligure ci conduce per mano Corrado Barazzutti, ct azzurro, asso di quella stessa nazionale che vinse la Coppa Davis nel 1976, e da alcune settimane tecnico proprio di Fognini: "Abbiamo lavorato tanto, sulla tecnica, ma soprattutto su attitudine e concentrazione. E i risultati stanno arrivando, insieme al suo tennis migliore. Gli obiettivi? Un torneo Masters1000 come Montecarlo è arrivato, perché non puntare, ora, a un torneo dello Slam?".
La regia della puntata è a cura di Gianmarco Ferronato
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Olympia del giorno 21/04/2019: Il leone delle montagne: Robert Antonioli
Trascorre le sere della viglia prima delle gare ascoltando musica folk di montagna o canti alpini, ma poi in pista non si lascia commuovere da niente e da nessuno. E quest'anno ha vissuto una stagione da vero cannibale, facendo bottino pieno tra mondiali e Coppa del mondo di scialpinismo. 28 anni di Sondalo, in provincia di Sondrio, Robert Antonioli è oggi ospite di Olympia per raccontarci la sua passione per la montagna, ma anche per la sana competizione in alta quota.
"Quella che si sta concludendo è stata per me una stagione fantastica - spiega Antonioli - ma è tutta la squadra azzurra che ha dominato l'annata, così come tanti sono stati i successi che abbiamo raccolto negli sport invernali; proprio l'alto livello della competizione interna alle nostre squadre è la migliore garanzia in vista delle gare. quando sai che i rivali più pericolosi ce li hai in casa, per forza che rendi al massimo in ongni allenamento!"
"Le parole di Antonioli confermano che la competizione tra compagni non deve essere vista come un tabù - evidenzia Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -: anzi, la competizione interna è una delle leve su cui l'allenatore può agire proprio per allenare l'istinto agonistico, la solidità caratteriale, ma anche le specifiche competenze tecniche di ogni suo atleta"
La regia della puntata è a cura di Gianmarco Ferronato
olympia@radio24.it
Trascorre le sere della viglia prima delle gare ascoltando musica folk di montagna o canti alpini, ma poi in pista non si lascia commuovere da niente e da nessuno. E quest'anno ha vissuto una stagione da vero cannibale, facendo bottino pieno tra mondiali e Coppa del mondo di scialpinismo. 28 anni di Sondalo, in provincia di Sondrio, Robert Antonioli è oggi ospite di Olympia per raccontarci la sua passione per la montagna, ma anche per la sana competizione in alta quota.
"Quella che si sta concludendo è stata per me una stagione fantastica - spiega Antonioli - ma è tutta la squadra azzurra che ha dominato l'annata, così come tanti sono stati i successi che abbiamo raccolto negli sport invernali; proprio l'alto livello della competizione interna alle nostre squadre è la migliore garanzia in vista delle gare. quando sai che i rivali più pericolosi ce li hai in casa, per forza che rendi al massimo in ongni allenamento!"
"Le parole di Antonioli confermano che la competizione tra compagni non deve essere vista come un tabù - evidenzia Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -: anzi, la competizione interna è una delle leve su cui l'allenatore può agire proprio per allenare l'istinto agonistico, la solidità caratteriale, ma anche le specifiche competenze tecniche di ogni suo atleta"
La regia della puntata è a cura di Gianmarco Ferronato
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Olympia del giorno 14/04/2019: Le pioniere del calcio: donne in campo durante il Fascismo
La donna focolare della famiglia, madre premurosa - e pure prolifera, vien da dire - : era quella che cantavano le canzonette, ma anche i megafoni della propaganda fascista, come quella che stiamo sentendo in sottofondo. Ebbene oggi a Olympia facciamo un salto nel tempo e ritorniamo proprio all'inizio degli Anni Trenta quando - sfidando pregiudizi e luoghi comuni - alcune ragazze tra Milano ed Alessandria osarono provare a realizzare un peccaminoso desiderio: giocare a calcio
Giovinezza ben diversa da quella cantata dalla retorica del regime, quella vissute da queste donne, che tra alterne fortune cominciarono a tirar calci a una palla, aprendo così un sentiero che quest'anno ha portato 40mila spettatori all' Allianz Stadium di Torino per assistere a Juventus-Fiorentina della serie A femminile, e che nel giugno prossimo ci condurrà ai quei Mondiali di calcio donne, in Francia, dove l'Italia torna dopo vent'anni di assenza.
L'occasione di ripercorrere a ritroso questa cammino ce la offre il volume, edito da Bradipo Libri "Le pioniere del calcio - La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista", scritto da Giovanni di Salvo, ingegnere di professione, ma anche appassionato storico del calcio femminile.
Al suo fianco un altro amico di Olympia, Enrico Landoni, storico dello sport, membro della Società Italiana di Storia dello sport ed esperto proprio del rapporto tra sport e fascismo.
"Come nacque l'avventura di queste prime calciatrici? con un semplice annuncio sul giornale - racconta Di Salvo -: le adesioni furono molte ed entusiastiche. Ma ben presto la reazione del regime e del Coni si fece sentire, spegnendo sul nascere il sogno delle donne calciatrici".
Eppure campionesse, in altri sport, riuscirono ad affermarsi. Perché allora, questa chiusura da parte del Fascismo rispetto alle donne calciatrici? "Perché quell'esperimento metteva in crisi il concetto stesso di virilità fascista - spiega Enrico Landoni - che per il regime era esemplificata proprio dall'uomo calciatore".
"Essere pioniere richiede visione, determinazione, ma anche quella leggerezza figlia del coraggio - spiega Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -. Forza mentale e capacità di osare si mescolano e permettono di vedere e progettare il futuro. E' quello che fecero allora, quelle donne, aprendo la strada che le ragazze di oggi stanno percorrendo".
La regia della puntata è a cura di Alessandro Chiappini
olympia@radio24.it
La donna focolare della famiglia, madre premurosa - e pure prolifera, vien da dire - : era quella che cantavano le canzonette, ma anche i megafoni della propaganda fascista, come quella che stiamo sentendo in sottofondo. Ebbene oggi a Olympia facciamo un salto nel tempo e ritorniamo proprio all'inizio degli Anni Trenta quando - sfidando pregiudizi e luoghi comuni - alcune ragazze tra Milano ed Alessandria osarono provare a realizzare un peccaminoso desiderio: giocare a calcio
Giovinezza ben diversa da quella cantata dalla retorica del regime, quella vissute da queste donne, che tra alterne fortune cominciarono a tirar calci a una palla, aprendo così un sentiero che quest'anno ha portato 40mila spettatori all' Allianz Stadium di Torino per assistere a Juventus-Fiorentina della serie A femminile, e che nel giugno prossimo ci condurrà ai quei Mondiali di calcio donne, in Francia, dove l'Italia torna dopo vent'anni di assenza.
L'occasione di ripercorrere a ritroso questa cammino ce la offre il volume, edito da Bradipo Libri "Le pioniere del calcio - La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista", scritto da Giovanni di Salvo, ingegnere di professione, ma anche appassionato storico del calcio femminile.
Al suo fianco un altro amico di Olympia, Enrico Landoni, storico dello sport, membro della Società Italiana di Storia dello sport ed esperto proprio del rapporto tra sport e fascismo.
"Come nacque l'avventura di queste prime calciatrici? con un semplice annuncio sul giornale - racconta Di Salvo -: le adesioni furono molte ed entusiastiche. Ma ben presto la reazione del regime e del Coni si fece sentire, spegnendo sul nascere il sogno delle donne calciatrici".
Eppure campionesse, in altri sport, riuscirono ad affermarsi. Perché allora, questa chiusura da parte del Fascismo rispetto alle donne calciatrici? "Perché quell'esperimento metteva in crisi il concetto stesso di virilità fascista - spiega Enrico Landoni - che per il regime era esemplificata proprio dall'uomo calciatore".
"Essere pioniere richiede visione, determinazione, ma anche quella leggerezza figlia del coraggio - spiega Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive all'Università Cattolica di Milano e mental coach dei campioni -. Forza mentale e capacità di osare si mescolano e permettono di vedere e progettare il futuro. E' quello che fecero allora, quelle donne, aprendo la strada che le ragazze di oggi stanno percorrendo".
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Olympia del giorno 31/03/2019: Dalle strade dell'America al sogno olimpico: ecco gli assi della breakdance
Hanno nicknames si sfidano in battles a colpi di skills sulla base di diversi break musicali. Hanno cominciato a invadere le strade degli Stati Uniti a partire dagli anni settanta e molto probabilmente sbarcheranno nel programma ufficiale dei Giochi Olimpici estivi di Parigi 2024, dopo essere stati già in gara alle Olimpiadi Giovanili dello scorso autunno a Buenos Aires. Stiamo parlando di loro, sì, dei breakdancers, cioè gli assi della breakdance che, affiliata in Italia alla Federdanza, si sta accreditando come vera e propria disciplina sportiva. E l'Italia, appunto, è già protagonista, perché proprio alle Olimpiadi Giovanili di Buenos Aires abbiamo già conquistato una prestigiosa medaglia d'argento con Alessandra Cortesia talentuosa 16enne di Conegliano veneto che oggi è ospite di Olympia.
"La breakdance per me è un'arte, una forma di espressione che ho scoperto fin da bambina - ci racconta Alessandra, il cui nickname è Lexi: mi diverte, mi piace, e riesco a conciliare bene allenamenti e studio. Senza trascurare che è stata una forma espressiva che mi ha aiutato molto in occasione di atti di bullismo di cui sono stata vittima a scuola negli anni scorsi".
Giuseppe Di Mauro, in arte Kacio, è il ct della Nazionale azzurra di breakdance. "C'è un mondo underground della breakdance che non ha interesse a prendere parte ai Giochi - spiega Di Mauro - ma è quella la strada che ci porta al futuro. Per chi come me ha iniziato a fine Anni Novanta nelle strade di Palermo, è emozionante e sorprendente vedere il lungo cammino che abbiamo fatto".
"Questa danza è una disciplina completa, totale - evidenzia Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive alla Cattolica di Milano e mental coach dei campioni - sotto il profilo fisico, mentale e culturale, perché riprende gesti e movenze di antiche discipline ancestrali. vederla alle Olimpiadi? E' positivo, perché abitua la nostra mente a confrontarsi e a recepire la novità, che è la miglior palestra per il cervello e le nostre reti neuronali" .
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
olympia@radio24.it
Hanno nicknames si sfidano in battles a colpi di skills sulla base di diversi break musicali. Hanno cominciato a invadere le strade degli Stati Uniti a partire dagli anni settanta e molto probabilmente sbarcheranno nel programma ufficiale dei Giochi Olimpici estivi di Parigi 2024, dopo essere stati già in gara alle Olimpiadi Giovanili dello scorso autunno a Buenos Aires. Stiamo parlando di loro, sì, dei breakdancers, cioè gli assi della breakdance che, affiliata in Italia alla Federdanza, si sta accreditando come vera e propria disciplina sportiva. E l'Italia, appunto, è già protagonista, perché proprio alle Olimpiadi Giovanili di Buenos Aires abbiamo già conquistato una prestigiosa medaglia d'argento con Alessandra Cortesia talentuosa 16enne di Conegliano veneto che oggi è ospite di Olympia.
"La breakdance per me è un'arte, una forma di espressione che ho scoperto fin da bambina - ci racconta Alessandra, il cui nickname è Lexi: mi diverte, mi piace, e riesco a conciliare bene allenamenti e studio. Senza trascurare che è stata una forma espressiva che mi ha aiutato molto in occasione di atti di bullismo di cui sono stata vittima a scuola negli anni scorsi".
Giuseppe Di Mauro, in arte Kacio, è il ct della Nazionale azzurra di breakdance. "C'è un mondo underground della breakdance che non ha interesse a prendere parte ai Giochi - spiega Di Mauro - ma è quella la strada che ci porta al futuro. Per chi come me ha iniziato a fine Anni Novanta nelle strade di Palermo, è emozionante e sorprendente vedere il lungo cammino che abbiamo fatto".
"Questa danza è una disciplina completa, totale - evidenzia Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive alla Cattolica di Milano e mental coach dei campioni - sotto il profilo fisico, mentale e culturale, perché riprende gesti e movenze di antiche discipline ancestrali. vederla alle Olimpiadi? E' positivo, perché abitua la nostra mente a confrontarsi e a recepire la novità, che è la miglior palestra per il cervello e le nostre reti neuronali" .
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi
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Olympia del giorno 24/03/2019: Il gruppo (in) rosa sulle strade di Fausto Coppi
Il mondo del ciclismo celebrerà quest'anno il Centenario della nascita ddi Fausto Coppi, e lo farà anche quel Giro d'Italia femminile che celebra a sua volta in questo 2019 la sua 30esima edizione. Donne in gara dal 5 al 14 luglio, ma le ragazze a pedali saranno già il 27 marzo nella zona di Castellanìa, in provincia di Alessandria, cittadina natale di Fausto e del fratello Serse, tragicamente scomparso dopo una caduta nel giro del Piemonte del 1951.
Per onorare la memoria di Coppi, ma anche di Costante Girardengo e di quel Sandrino Carrea che di Coppi fu tra i più fedeli gregari, è stata infatti organizzato un appuntamento celebrativo, ma che già farà scaldare i pedali alle ragazze in vista del Giro di quest'estate. "Saremo a Castellanìa per testare il percorso della cronosquadre che aprirà la corsa rosa - racconta Luciana Rota, collega e figlia d'arte, visto che il papà Franco fu amico e portavoce di Coppi, oltreché grande giornalista - ma in particolare per onorare la memoria di Coppi, ma anche di Costante Girardengo e di Sandrino Carrea, che di Coppi fu grande gregario e amico".
Tanta strada alle donne, anche e soprattutto del ciclismo, rimane invece ancora da fare per arrivare a un'effettiva parità di genere, e anche a un effettivo riconoscimento del loro status di professioniste, con contratti e tutele relative. "Siamo sulla buona strada, e spero che si riesca a tagliare presto questo traguardo", sottolinea Erica Magnaldi, classe 1992, cuneese, laureata in medicina, attesa come grande protagonista del Giro donne.
"Il professionismo femminile? E' vero, in Italia siamo ancora indietro, e non solo nel rapporto tra donna e sport "- sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive alla Cattolica di Milano e mental coach dei campioni - "ma anche pedalando, chilometro dopo chilometro, possiamo contribuire al superamento di pregiudizi e luoghi comuni, facendo quindi progredire la nostra cultura sportiva.
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi.
olympia@radio24.it
Il mondo del ciclismo celebrerà quest'anno il Centenario della nascita ddi Fausto Coppi, e lo farà anche quel Giro d'Italia femminile che celebra a sua volta in questo 2019 la sua 30esima edizione. Donne in gara dal 5 al 14 luglio, ma le ragazze a pedali saranno già il 27 marzo nella zona di Castellanìa, in provincia di Alessandria, cittadina natale di Fausto e del fratello Serse, tragicamente scomparso dopo una caduta nel giro del Piemonte del 1951.
Per onorare la memoria di Coppi, ma anche di Costante Girardengo e di quel Sandrino Carrea che di Coppi fu tra i più fedeli gregari, è stata infatti organizzato un appuntamento celebrativo, ma che già farà scaldare i pedali alle ragazze in vista del Giro di quest'estate. "Saremo a Castellanìa per testare il percorso della cronosquadre che aprirà la corsa rosa - racconta Luciana Rota, collega e figlia d'arte, visto che il papà Franco fu amico e portavoce di Coppi, oltreché grande giornalista - ma in particolare per onorare la memoria di Coppi, ma anche di Costante Girardengo e di Sandrino Carrea, che di Coppi fu grande gregario e amico".
Tanta strada alle donne, anche e soprattutto del ciclismo, rimane invece ancora da fare per arrivare a un'effettiva parità di genere, e anche a un effettivo riconoscimento del loro status di professioniste, con contratti e tutele relative. "Siamo sulla buona strada, e spero che si riesca a tagliare presto questo traguardo", sottolinea Erica Magnaldi, classe 1992, cuneese, laureata in medicina, attesa come grande protagonista del Giro donne.
"Il professionismo femminile? E' vero, in Italia siamo ancora indietro, e non solo nel rapporto tra donna e sport "- sottolinea Stefano Tirelli, docente di Tecniche Complementari Sportive alla Cattolica di Milano e mental coach dei campioni - "ma anche pedalando, chilometro dopo chilometro, possiamo contribuire al superamento di pregiudizi e luoghi comuni, facendo quindi progredire la nostra cultura sportiva.
La regia della puntata è a cura di Valeria Bernardi.
olympia@radio24.it